«Gallerie d’Italia traino per i turisti che vengono qui»

Il direttore delle Gallerie d’Italia Michele Coppola parla della svolta artistica della storica sede Sanpaolo

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Torino, Piazza San Carlo, cuore sabaudo della città. Accolti da una gradonata che come in un abbraccio dialoga con l’esterno, ci immergiamo negli antichi spazi e caveaux della storica sede della banca Sanpaolo risalendo poi al piano nobile nelle sale auliche di rappresentanza, un percorso emozionante tra modernità e tradizione che ben sintetizza l’anima delle Gallerie d’Italia, giustamente “capolavori dell’arte all’interno di capolavori dell’architettura”. Una nuova realtà museale facente parte di un unico ampio progetto che chiediamo al suo Direttore Michele Coppola di illustrarci nelle sue peculiarità.
Gallerie d’Italia è un grande progetto culturale tra i più importanti in Europa, a maggiore ragione perché voluto dalla principale Banca italiana che ha trasformato i propri palazzi storici in sedi museali aperti nelle città di Milano, Napoli, Torino e Vicenza per condividere collezioni d’arte, mostre, svariate iniziative culturali e numerose attività rivolte agli studenti e ai pubblici fragili. Gallerie d’Italia è l’elemento più iconico dell’impegno di Intesa Sanpaolo nel difendere e diffondere il patrimonio culturale come elemento identitario del Paese oltre che come motore di sviluppo.
Dottor Coppola, lei è Manager culturale, Executive Director Arte Cultura e Beni Storici di Intesa Sanpaolo, dal 2015 coordina il Progetto Cultura. Come Direttore delle quattro Gallerie d’Italia potrebbe spiegarci in che modo le attività proposte si identificano nell’etica del gruppo?l’etica del gruppo?
«Il lavoro di Gallerie d’Italia, dai grandi progetti espostivi al rapporto con le scuole, è conosciuto e riconosciuto come la scelta precisa di una banca per la quale è irrinunciabile affiancare al proprio ruolo economico il contributo alla crescita culturale e sociale del Paese. Sono la prova tangibile dell’investimento di Intesa Sanpaolo per la comunità».
Qual è il suo personale rapporto con la fotografia, fulcro di queste Gallerie?
«La bellezza delle immagini si unisce alla forza e all’immediatezza con cui raccontano i temi dell’attualità ed è la ragione per la quale abbiamo dedicato il museo di Piazza San Carlo a questa straordinaria forma d’arte, contribuendo così ad affermare Torino come prima città italiana per la fotografia».
Un primo bilancio a due anni dall’apertura?
«Positivo e direi oltre le aspettative, per il pubblico amplissimo che abbiamo coinvolto ed eterogeneo per età, provenienza e interessi, per i progetti fotografici proposti frutto di committenze originali ai maggiori fotografi del mondo favorendo la riflessione sulle urgenze del presente a partire dalla crisi climatica, per il lavoro di condivisione fatto con le principali istituzioni della città pubbliche e private, dai musei alle fondazioni».
Ci racconta, Direttore, il suo personale legame col territorio cuneese?
«Le rispondo ricordando la forte emozione provata ogni anno, poco prima di Natale, quando con Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo abbiamo condiviso le mostre nel Complesso Monumentale di San Francesco portando in città i capolavori di Tiziano, Tintoretto, Veronese e, lo scorso anno, Lorenzo Lotto».
Prima di congedarci, avrebbe qualche anticipazione sulle prossime mostre?
«Il 2024 continuerà a proporre importanti ospiti nelle due direzioni che vedono la fotografia strumento di racconto della storia e della contemporaneità. A fine giugno Antonio Biasiucci sarà protagonista del nuovo capitolo sulla grande fotografia italiana e in autunno arriverà Mitch Epstein con la mostra American Nature che gioca intorno al concetto di natura americana e natura degli americani».

Immagini e storia: il progetto coinvolge Torino, Milano, Napoli e Vicenza

Le Gallerie d’Italia a Torino hanno sede presso Palazzo Turinetti di Pertengo, sede storica dell’istituto bancario Sanpaolo in piazza San Carlo.
Con Milano, Napoli e Vicenza fa parte di un unico progetto che combina collezioni permanenti e mostre temporanee in luoghi d’arte prestigiosi nel cuore delle città.
Ultimo ad aprire, nel maggio del 2022, lo scrigno torinese ospita molteplici forme culturali, dalle mostre alle conferenze o ai concerti, in una sede non casuale. Nell’ipogeo, al piano -3, l’interessante Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo, raccoglie 7 milioni di immagini dell’agenzia fondata nel 1937, “ampia memoria collettiva” del Novecento acquistata dalla Banca nel 2015.
Come visitatori possiamo scaricare fino a dieci scatti da questa miniera digitalizzata di circa 50.000 foto a oggi consultabili anche sul sito web, ed immergerci poi in una gigantesca sala video multimediale. Nella manica a fianco, tra l’ex pensatoio delle comunicazioni aziendali e la sala delle assemblee dei 300, la voce di una balena ci richiama alla sezione degli allestimenti temporanei con la mostra dedicata alla fotografa, biologa e attivista Cristina Mittermeier.
Terminata con successo l’esposizione “Non ha l’età”, dedicata al festival di Sanremo, attualmente è in corso, fino a settembre, la mostra La grande saggezza di Cristina Mittermeier: un titolo che invita a utilizzare con saggezza le risorse del pianeta con un occhio ai saperi tramandati di generazione in generazione. L’artista, di origini messicane, con la sua attività di fotografa sempre attenta all’ecosistema globale, documenta con passione natura e culture del mondo intero.
Nelle sale del piano nobile che si affacciano sulla piazza, ci attendono invece oltre quaranta opere tra importanti dipinti, sculture e arredi esemplificativi del barocco piemontese e nove tele della seconda metà del Seicento destinate in origine all’Oratorio della Compagnia di San Paolo chiuso dal lontano 1876. Ci giungiamo da uno scenografico scalone arricchito dal grande monogramma in stucco di casa Savoia, a ricordo di come i Turinetti ne fossero i banchieri. Il palazzo, gravemente danneggiato dopo la seconda guerra mondiale, è stato acquistato dal Sanpaolo nel 1949, che vi ha aperto la propria sede nel 1963, dopo una serie di restauri conservativi ma anche innovativi. Porte e arredi provengono spesso da altre dimore nobiliari: acquistati negli anni dall’Istituto sono stati adattati per riallestire con specchi e boiserie d’epoca l’atmosfera settecentesca in un’ottica di recupero e valorizzazione. La rivisitazione architettonica firmata dall’architetto  Michele De Lucchi si articola in cinque piani espositivi. Ogni elemento risponde ad un preciso messaggio, dalle colonne che si aggiungono al porticato originario apparentemente uguali ma in legno, scelta sostenibile e mai assoluta, alle frange d’acciaio alle pareti che riflettono una realtà non omogenea, all’oblò che convoglia la luce riportandoci ad un obiettivo fotografico. La porta del forziere degli stipendi lasciata alla memoria ricorda con fierezza l’avvenuto passaggio da un centro finanziario ad uno culturale.