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Stati Uniti d’Europa

Mario Draghi spiega come rendere più competitiva l’Ue e c’è chi legge nelle pieghe del suo report la disponibilità ad assumere un ruolo guida. Ipotesi ben vista non solo in Italia

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Il ritorno di Mario Draghi. L’Unione Europea ha chiesto all’ex presidente della Bce e capo del governo di redigere un rapporto sulla competitività dell’industria destinato, insieme al rapporto di Enrico Letta sul Mercato interno, a orientare l’agenda politica della prossima legislatura. An­ticipando i temi, l’ex premier rileva il ritardo rispetto a Stati Uniti e Cina e sottolinea la necessità di rafforzare la coesione interna per reggere nella nuova competizione globale, coesione che può anche riguardare soltanto un sottogruppo di Paesi membri se non sarà possibile coinvolgerli tutti.
L’auspicio è «un cambiamento radicale: ciò di cui abbiamo bisogno», partendo dalla considerazione che è sempre mancata una strategia industriale Ue: «Abbiamo confidato in un ordine internazionale basato su regole, aspettandoci che altri facessero lo stesso. Ma il mondo è cambiato rapidamente, ci ha colto di sorpresa, altri non rispettano più le regole». Riferimento chiaro alle politiche di Washington e Pechino «progettate per reindirizzare gli investimenti verso le loro economie a scapito delle nostre o, nel caso peggiore, per renderci permanentemente dipendenti da loro». Draghi insiste sulla coesione come unico antidoto, perché la competitività non si riconquista in solitudine o concorrendo tra stati interni, e sull’urgenza di sviluppare le nove strategie: «Per molto tempo la competitività è stato un tema controverso in Europa, ma la questione chiave è che abbiamo sbagliato focus, vedendo noi stessi come concorrenti e allo stesso tempo non guardando abbastanza all’esterno».
L’incarico di elaborare un report è stato assegnato per le competenze e l’esperienza da economista, ma dopo le anticipazioni annunciate nell’intervento alla conferenza sui servizi sociali organizzata a La Hulpe dalla presidenza belga dell’Unione si è diffusa la sensazione di un ritorno sulla scena europea dei prossimi anni e in tanti hanno percepito, nelle pieghe del discorso, la disponibilità ad assumere un ruolo guida dell’Ue del futuro, presidente di Commissione o del Consiglio europeo. Idea che piace molto agli italiani – è stata anche aperta una petizione – e pure all’estero trova consensi: merito di un manifesto geopolitico fondato su analisi lucide e preoccupazioni comprensibili, illustrato con partecipazione e arricchito dalla proposta di soluzioni non semplici ma concrete, attraverso una politica economica e fiscale che superi i governi nazionali.
«Sono contenta che si parli di un italiano ai vertici Ue – il pensiero della premier Giorgia Meloni – ma il dibattito su Draghi è filosofia. Sono i cittadini che decidono. Quello che mi interessa è che sia Draghi che Enrico Letta, considerati due europeisti, ci dicano che l’Europa va cambiata». Se ne parlerà dopo il voto, ma le chance crescono e l’ipotesi che Draghi abbia un ruolo fa parte dei possibili scenari, anche perché figura di garanzia che non dispiace alle principali cancellerie europee – Macron è il grande regista con Germania, Spagna e ora anche Polonia, perfino Orban esprime gradimento – e che può convincere il nostro governo in quanto canale privilegiato per Roma. «Ha tutti i titoli per farlo» dice il vicepremier Ignazio La Russa e, sarà anche un caso, nei corridoi di governo lo chiamano il campione. Renzi ci punta, Conte elogia il piano, Scotto auspica una funzione Ue. Pazienza se Salvini, con strano tempismo, anticipando passi del suo libro ne sveli brama di potere stridente con l’immagine super partes e se Foti ammonisca con il vecchio adagio per cui chi entra Papa esce dal Conclave cardinale.