«La foto giusta? Quando metti in gioco la tua umanità»

Guido Harari ha aperto la mostra “Italians” in Fondazione Ferrero: «L’immagine funziona se racconta una storia, questo fa la differenza»

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Si passeggia tra gigantografie incombenti. Ogni immagine sembra animarsi di vita propria, ogni ritratto riesce a evocare una storia personale. Perché è quello il punto, la storia nascosta tra i pixel. Come ha spiegato Guido Harari, nel cor­so della serata di inaugurazione in Fondazione Ferrero, «le storie che il fotografo sa raccontare con le sue immagini possono e devono fare la differenza. Anche in un mare di immagini come quello in cui navighiamo in questa epoca. Oggi ci sono tantissime fotografie, le troviamo ovunque. Ma molto spesso, non raccontano nulla, non si portano dietro nessuna storia». Le fotografie di Harari, invece, aprono un varco. E la sua testimonianza, nel caso di un personaggio celebre, è esemplare: «Un giorno siamo andati con il mio collaboratore nell’albergo dove ci attendeva Pavarotti. Lui non era molto interessato a mettersi in posa, anzi era decisamente annoiato. Diciamo che non voleva saperne di fare quelle foto, ma si trattava di un lavoro commissionato dagli Usa al quale non poteva dire di no. Lui guardava fisso la tv e mentre noi preparavamo le luci e posizionavamo le fotocamere, più volte mi ha detto di spostarmi perché gli coprivo la visuale. Ho capito che non sarebbe stato facile ottenere una foto significativa del grande tenore. Ma ho aspettato pazientemente. E a un certo punto, al culmine della sua insofferenza, Pavarotti si è perso in un lungo sbadiglio. L’ho inquadrato, ho atteso il momento di massima apertura della sua bocca e ho scattato. Per molti anni ho tenuto quella foto nel cassetto. Pensavo che non avrei mai potuto pubblicarla. Poi l’ho ripresa, l’ho lavorata un po’ e mi sono reso conto di aver finalmente trovato la mia storia». L’immagine di Pava­rotti oggi accoglie i visitatori della mostra proprio all’ingresso. È dirompente, bellissima nella sua spontanea immediatezza. Sem­bra un urlo, un acuto del Maestro. Oggi sappiamo come sono andate in realtà le cose.
Nel giorno di inaugurazione della mostra (che re­sterà aperta fino al 26 maggio) Guido Harari ha ripercorso i passaggi più importanti della sua carriera, gli anni in cui decise di lasciare Milano per conquistare l’America, prima di scegliere Alba come luogo ideale. Con lui, sul palco della Fondazione Ferrero – rappresentata dal di­rettore generale Bartolomeo Sa­lomone e con la conduzione di Roberto Fiori – anche il giornalista e scrittore Beppe Se­vergnini, l’amico che ospitò il fotografo negli studi televisivi della sua trasmissione “Ita­lians” condividendone il format e trasformando in qualche modo quelle interviste in nuovi percorsi multimediali.
Harari ha anche spiegato il “se­greto” delle sue opere, la capacità di entrare in sintonia con i “vip” a tal punto da coglierne l’essenza. Oppure «l’anima» co­me ha detto Severgnini. «È semplice, bisogna andare oltre le sovrastrutture che ci circondano, essere noi stessi, essere brave persone. Ricordo quando conobbi Susanna Agnelli, si creò un feeling particolare e questo fu utile anche per incontrare l’Avvocato che mi disse “so tutto di lei, mia sorella mi ha spiegato che è molto bravo, meglio di Helmut Newton!”. Bisogna essere autentici per poter dire a quei personaggi ciò che pensiamo. Perché è quello che loro stessi vogliono. Sono sempre circondati da mezze figure, gente che li tratta con eccessivo sussiego. Ma apprezzano chi sa essere trasparente, spontaneo, vero».
“Italians” nasce, come detto, con la trasmissione televisiva di Severgnini: «Lui aveva 45 minuti di tempo per approfondire la conoscenza del personaggio, io dovevo fare tutto in pochi minuti», ha ricordato Harari. Ora quel marchio caratterizza anche la mostra di Alba dopo averlo fatto nelle tappe di Ancona, Ferrara e Milano: «Si è creata una “fanbase” che mi segue di città in città. Fin qui è stata un’esperienza molto coinvolgente, qualcosa che è andato al di là delle mie aspettative. Oltre ai personaggi famosi, ho aperto uno spazio per tutti scoprendo mondi nuovi». L’idea di “Italians”, in origine, era nata anche per testimoniare un mo­mento molto particolare: «Era­vamo negli anni ’90, c’era l’esigenza di evidenziare certe no­stre qualità caratterizzando an­che quella fase di fine millennio». I ricordi si intrecciano. Severgnini rivive l’incontro con Roberto Baggio e la sfida a centrare i lampioni nell’allestimento dello studio televisivo: il campione fece due centri su due, al giornalista riuscì la prodezza al primo tentativo con grande sgomento del calciatore. Che poi Harari avrebbe fotografato di spalle, mettendo in primo piano il celebre codino. Dal passato riemerge anche l’energia vitale di Milva, espressa in un’immagine glamour, il saluto ironico di Battiato «che amava “cazzeggiare” più di quanto possiate credere», la professionalità estrema di Gina Lollobrigida e la sua aurea inavvicinabile: «Disse: se mi deve spedire una lettera scriva pure “Gina, Roma”». Momenti che riemergono dalle fotografie della mostra. E che prendono vita.