Gianni Del Bue. Immaginare l’invisibile

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Dialogo italiano, 1990

All’interno del progetto “grandArte – Tra grandi nomi e giovani emergenti” si inaugerà, venerdì 29 settembre 2023 alle ore 18.00, al primo piano di Palazzo Samone in via Amedeo Rossi 4 a Cuneo, la mostra “Gianni Del Bue – Immaginare l’invisibile. Mostra Antologica 1968 – 2023″ – Testo critico di Enrico Perotto.

La mostra, che sarà visitabile dal 29 settembre al 5 novembre 2023 i venerdì, sabato e domenica dalle ore 16.00 alle ore 19.00, con ingresso libero, presenta un percorso espositivo che intende documentare cinquantacinque anni di attività creativa di Gianni Del Bue, attraverso una selezione di circa cinquanta opere che si possono considerare tra le più significative che il pittore di Naviante ha realizzato nell’arco della sua intera carriera artistica.

Gianni Del Bue è un pittore, un vero pittore, anche e soprattutto per l’indole trasognata della sua personalità di artista ‘nato sotto Saturno’, che non può fare a meno di dipingere. E il fare pittura di Gianni ci conduce alla fonte più intima e genuina di ciò che si può intendere per immagine: un luogo di trasformazione, di reinvenzione dello sguardo puntato sul mondo secondo schemi unificanti, sperimentando altre forme di conoscenza, anche se destabilizzanti, del visibile.

Del Bue ha vissuto la sua stagione creativa giovanile attratto, dapprima, dagli esempi esclusivi di quella che il critico d’arte statunitense Clement Greenberg ha chiamato “astrazione post-pittorica”, dominata da una pittura bidimensionale di tipo analitico-geometrica, ben presto abbandonata a favore di una ricerca di sovrapposizioni di elementi grafici semplificati e connotati di vita naturale e oggettuale, seguiti, poi, dai guizzi bizzarri di tutta una serie di fantasmagorie policrome micro-corpuscolari e micro-figurative e dagli inserti giocosi di trame disegnate ad ago e filo, sospese tra verità e finzione, superficie e profondità. Il discorso figurale di Del Bue si orienta, quindi, sempre più in direzione di una metamorfosi di immagini libere, decontestualizzate e colte, che hanno il gusto ironico e arguto di una consapevole forma di naiveté, pervasa di figure, oggetti e luoghi del tutto stranianti e spiazzanti, ambientati tra il Tanaro e il Mincio, tra le Langhe e la città di Mantova. Di fronte ai nostri occhi si dispiegano ammalianti microstorie urbane e campestri, che emanano sapori e rilasciano umori di parlate vernacolari. Il tutto è mascherato da rinati cicli anacronistici di scene fiabesche, in cui sopravvivono ‘immagini-fantasma’ e si ripropongono montaggi di ‘memorie di immagini’ e ancora si assiste a un loro riuso sistematico, a un prelievo o ‘furto’ effettuato da un variegato orizzonte di linguaggi visuali (dalla grafica pubblicitaria al cinema e ai fumetti). Grazie al fatto di esserci lasciati cadere nelle trappole visive tese da Dal Bue per catturarci all’interno delle sue opere, siamo trasformati in cacciatori di illusioni, ovvero in soggetti via via allenati a percepire l’intreccio visionario delle sue esperienze di vita. Nei suoi dipinti, si può davvero affermare che lo sguardo si perde tra arguzie, desideri, fantasie, paradossi e stupori, che affondando nelle profondità nascoste in superficie, negli interstizi del tempo intessuto di azioni umane inspiegabili tanto quanto gli enigmi figurali di Del Bue.