«Ogni volta che torno nei luoghi più amati io mi sento a casa»

L’inviato di “Striscia la notizia”: «Racconto “Paesi e paesaggi” ovvero i territori e soprattutto le persone. Sono così legato a queste terre che porto sempre qualche amico per condividerne le emozioni. Un onore per me poter lavorare al dossier su Alba Bra Langhe Roero capitale italiana della Cultura 2026»

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Si porta dietro la sua sedia a tracolla – an­zi la “cadrega” – e quando la piazza a terra, ben salda, è come se un ambiente casalingo e confortevole si sostituisca automaticamente a qualsiasi luogo fino a quel momento sconosciuto. È il rito – e al tempo stesso la piccola magia – che si ripete ogni volta nel corso di “Striscia la notizia” e Davide Rampello ne ha fatto il suo segno distintivo. La sedia l’ha portata spesso anche in Pie­monte e nelle Langhe, un territorio che è definitivamente entrato nel suo cuore: «Sicco­me ormai mi conosco e so che ogni volta l’emozione è forte, torno così volentieri che di solito mi faccio accompagnare, oppure accompagno amici che vogliono condividere il piacere di ritrovarsi in un bellissimo paesaggio. Ma ciò che davvero è straordinario resta il rapporto con le per­sone».

Ha consolidato nel tempo una rete di amicizie?

«Ogni volta ritrovo amici in tanti ambiti diversi. Per esempio, proprio nelle Lan­ghe, penso a quelli della Con­fraternita della Nocciola Tonda Gentile di Langa e ai Cavalieri del Tartufo e dei Vini d’Alba. E poi ci sono tut­te le pesone che conosco nelle varie trattorie. Si tratta sempre di ri-conoscere, ovvero conoscere due volte. Ed è ogni volta un piacere straordinario, sono incontri che si aggiungono ad altre conoscenze, un arricchimento che non finisce».

È un po’ questo il dettaglio che unisce le eccellenze italiane?

«È questa sensazione di sentirsi a casa, arrivare in un po­sto dove prima non ero mai stato e che invece si fa riconoscere. Come quando qualcuno rientra a casa propria e ri­conosce dettagli famigliari: le stanze, gli spazi, gli oggetti, i profumi. E tutto questo re­gala un senso di sicurezza e conforto. La stessa cosa accade quando si frequentano con assiduità territori che si amano. Io amo molto le Langhe – assieme ad altri territori in Italia – e ogni volta che ritorno lì, provo un sen­so di benessere che fa bene all’anima allo spirito».

Nel titolo del suo format c’è tutto il senso di questa visione?

«La rubrica s’intitola “Pae­si e paesaggi”, dove i paesi sono i territori mentre con i paesaggi racconto l’uomo. È lui che trasforma l’ambiente circostante lavorando la terra, creando i vigneti, le manifatture, il bosco, i frutteti, le case o le fabbriche. È sempre l’uomo. Il paesaggio antropizzato rappresenta il vero riconoscimento della ma­no dell’uomo, mentre per paesaggio naturale si dovrebbe intendere il Creato, dove c’è la mano di Dio».

Come la “malora” raccontata da Fenoglio da cui è nata l’eccellenza di un territorio.

«Esiste questo pessimo participio presente, “resiliente” che è un po’ sinonimo di quanto raccontato da Feno­glio. Quella povertà un tempo comune ad esempio al sud d’Italia oppure alla Toscana che proprio per questo motivo è però rimasta intatta. Prima abbandonata, poi ritrovata con la consapevolezza della sua bellezza da parte di chi aveva mezzi e ha fatto i primi investimenti. Mi riferisco agli inglesi, al famoso “Chiantishire”, dove le trattorie si sono in fretta evolute e hanno adottato un menu an­che in inglese per i suoi tanti nuovi residenti. Del resto, è la stessa evoluzione che sta accadendo nelle Langhe. E a questo proposito bisogna sta­re molto attenti, perché vedo un pericolo. C’è il rischio che in questo paradiso a condurre i giochi siano le aziende guidate dalla finanza. Noi godiamo di un patrimonio che è l’evoluzione della cultura contadina, chi fa l’investimento giusto o ha un suo percorso personale che lo lega a quel mondo, oppure ne è innamorato. Ma se è solo una visione finanziaria a guidare le sue azioni, questo si trasforma in un danno perché la finanza non ha anima, invece la terra è soprattutto anima».

L’attuale bellezza diffusa quin­di sarebbe a rischio?

«Il contadino non raserebbe mai a zero un bosco. Se si eliminano altre colture per far­ne una unica, questa si chiama coltura intensiva e riecco la “malora”. Lo stesso discorso vale per gli animali, ma non è mai una visione dei contadini, è qualcosa di diverso. Resta fondamentale il riferimento all’anima, la terra da sempre è dei contadini, così come dei cittadini è la città che determina la cultura. Ma la terra è dell’agricoltore».

Lei si occupa di televisione ma non solo. Su tutto domina l’esigenza di comunicare questi messaggi?

«Sì, comunicare è importante. Come posso dire? L’arrogan­za dell’uomo è sempre in ag­guato».

Dall’attività accademica a quella appunto televisiva, ce n’è una che predilige?

«No, è proprio il fatto di occuparsi di più cose a rendere il senso del tutto».

Esiste invece un filo conduttore che ritrova viaggiando e facendo nuove conoscenze?
«Cerco sempre l’uomo e la storia dell’uomo, scoprendola posso sentirmi a volte entusiasta, a volte deluso, perché sento la debolezza e un senso di vacuità. Altre volte accade il contrario. Ma quando avverto questa consistenza, molte volte è un’energia che mi alimenta e mi conforta».

Il turismo in Italia è una risorsa da perfezionare?
«Parliamo di un’industria molto giovane che si è sviluppata solo nel Dopoguerra. Pri­ma chi viaggiava lo faceva, avendo i mezzi, per il proprio bagaglio culturale. Era come Ulisse: il viaggio, le cose che devono accadere. Oggi si viag­gia “per viaggiare”, tutti con il telefonino, ore e ore di riprese che non si sa quando saranno viste. Conta esserci, essere testimoni. Si usa il telefono perché altrimenti non si sa raccontare, tutto si uniforma. Ma il turismo va ripensato costantemente, va perfezionato come concetto di ospitalità e relazione. L’Italia offre uno scenario piccolo e ricchissimo: deve perciò selezionare, alzare il livello. Al­lontanare il turismo di mas­sa».

Quali sono le sue prossime tappe?

«Ce n’è una molto importante: con il nostro studio stiamo lavorando al dossier per la candidatura di Alba Bra Lan­ghe Roero capitale italiana della Cultura 2026. Un progetto a cui sono legato moltissimo, così come quelli che sono coinvolti nel progetto assieme a me».

CHI È

È nato a Raffadali, in Sicilia, nel 1947 ma da anni vive in Veneto. Il suo è un volto reso popolare dalla rubrica televisiva che cura già dal 2013 nell’ambito di “Striscia la notizia”, ovvero “Paesi, paesaggi…” dedicata alle eccellenze ambientali e alimentari d’Italia

COSA HA FATTO

Proprio seguendo gli itinerari della sua rubrica, è stato diverse volte in Piemonte e in particolare ad Alba, dove si è occupato di varie eccellenze – dai tajarin ai biscotti di Pamparato – ha ricevuto riconoscimenti dalla Confraternita della Nocciola Tonda Gentile (di cui è ambasciatore nel mondo)

COSA FA

Come ha spiegato lui stesso a IDEA, attualmente è impegnato come consulente nella redazione del dossier per la candidatura di Alba Bra Langhe Roero capitale italiana della Cultura 2026. Inoltre continua a viaggiare tra i borghi d’Italia per raccontare i territori di qualità e le storie delle persone che portano avanti queste eccellenze con il loro lavoro