«Mixer ci ricorda che l’italia di 40 anni fa aveva un futuro»

La Rai torna a trasmettere le celebri interviste ai grandi protagonisti degli anni ’80 e ’90: «Divertente il siparietto tra Agnelli e De Mita. Commoventi le parole di Paolo Rossi. Si parlava della condizione delle donne e Khomeini era arrivato appena a Teheran... Oggi in tv solo talk show, ma vanno bene in radio»

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Nei giorni scorsi si è diffusa l’indiscrezione che vorrebbe Gio­van­ni Minoli nuovo presidente della Rai. E intanto su Rai3 vanno in onda venti puntate di “Mixer – Vent’anni di televisione”, storico programma di intrattenimento e informazione. In realtà si tratta di una rielaborazione editoriale del format degli anni ’80, ideato e portato al successo proprio da Minoli. Dice l’autore: «Ringrazio i tecnici che pur di finire il programma saltavano i pasti. Era il segno dell’attaccamento a un valore fondante come il servizio pubblico, dalla parte del cittadino e non del consumatore». Un totale di 500 puntate, da cui per la nuova versione sono state estratte le 20 più rappresentative.

Minoli, qual è stato (e qual è) il pregio migliore di “Mixer”?
«La forza di dire la verità. E in questa riproposizione, anche il fatto che costiamo poco alla Rai. Ha un grande magazzino di repertorio, ma queste interviste erano chiuse da 45 anni nelle cineteche e non erano mai state usate, a parte poche eccezioni».

Come sceglieva i personaggi da intervistare?
«Più o meno quelli che mi capitavano a tiro però erano sempre i più importanti».

C’è un’intervista che più di tutte non ha mai dimenticato?
«Quella con Margherita Yourcenar».

La scrittrice. Per quale motivo?
«Mi chiese in che lingua volevo fare l’intervista. Mi elencò anche l’italiano e ovviamente scelsi quello. Poi però mi accorsi che il suo italiano era un misto di latino, spagnolo e una serie di citazioni letterarie che lei aveva appreso una volta che aveva trascorso due settimane a Firenze. Notai poi che tra una risposta e l’altra prendeva appunti, alla fine mi spiegò che le era finalmente venuta in mente la giusta traduzione di una frase in aramaico a cui pensava da giorni, e doveva assolutamente scriverla».

Nell’immaginario collettivo, ora nuovamente alimentato dalla riproposizione aggiornata di “Mixer”, c’è la celebre intervista a Gianni Agnelli.
«Fu molto divertente. L’Av­vocato ha segnato un’epoca, lui era un figlio del Piano Marshall grazie al quale la Fiat creò un canale privilegiato con gli Usa. Era un personaggio molto stimato da tutta l’élite anglosassone, era amico di Kissinger e Rockfeller. Tutto questo in un’Italia ancora molto provinciale».

Lei ha citato anche un “duello a distanza” tra lo stesso Agnelli e l’allora presidente del Consiglio, Ciriaco De Mita.
«Durante un faccia a faccia, Agnelli lo definì con consueto sarcasmo “intellettuale della Magna Grecia”, ma l’ex politico della Dc ricambiò dicendo che lui era “un mercante moderno con poche idee e molti interessi particolari”. Per l’epoca non era un semplice scambio di battute, visto che si trattava a tutti gli effetti di un confronto tra Palazzo Chigi e l’industriale più importante d’Italia. De Mita cercò fino all’ultimo di togliere la sua frase prima che l’intervista andasse in onda. Non mi feci trovare, poi mi disse che era contento di aver parlato così».

Agnelli amava il calcio e ovviamente la Juventus: si ricorda una frase in tema?
«Sì, quando mi spiegò perché adorava Platini e molto meno Boniek. Disse che era bravo ma testardo e fece un paragone con i polacchi che durante la Seconda guerra mondiale andavano a cavallo contro i carri armati ed erano convinti di vincere».

A proposito di calcio, viene riproposta anche l’intervista a Paolo Rossi dopo il calcioscommesse. Emerge la sensibilità dell’uomo…
«Sì, la sua dolcezza. Aveva lo sguardo di chi è stato preso in mezzo ed è frastornato».

Lei però non fu tenero con Enzo Bearzot alla vigilia del Mondiale di Spagna che si risolse con il trionfo degli az­zurri.
«Riportavo le perplessità del momento».

È vero che non ha grande considerazione dei talk-show?
«Perché sono programmi dove ci sono grandi giornalisti che fanno la cosa che viene loro meglio, parlano. Ma siccome siamo in tv, allora avrebbe più senso in radio. A “Mixer” usammo per primi il “green screen” (o “chroma key”) con il primo piano sul volto degli intervistati, ripreso da tre diverse prospettive. C’era un motivo, così non si perdeva nessun particolare delle emozioni di chi parlava».

Ricordiamo ad esempio i particolari dell’intervista ad Agnelli: l’orologio, le scarpe. Dettagli d’eleganza.
«Valevano più di mille parole».

Nella nuova versione però, lei appare in penombra.
«Un gesto di teatro per lasciare spazio solo al racconto di “Mixer”, quegli anni ’80 e ’90 che sono stati fondamentali per arrivare alla nostra contemporaneità».

Ai tempi invece era spesso in primo piano, per questo l’accusarono anche di protagonismo.
«Il mio volto era un po’ la firma del programma. Oggi però non avrebbe senso in questa versione riproposta».

Qual è il senso di rivedere “Mi­xer” a distanza di tanto tempo, invece?
«Il messaggio è che non può avere futuro un paese senza memoria. E poi perché il programma fa capire che alla fine del ’900 sono nate molte situazioni che viviamo adesso. Nella prima puntata, ad esempio abbiamo visto un’inchiesta sulla condizione della donna nell’Islam. Se pensiamo poi che Khomeini era arrivato da appena un anno a Teheran…».

Minoli: «Perché rivederlo?
un paese senza memoria non ha prospettive»

Tra le altre cose, o forse soprattutto, “Mixer” è stato un programma che in qualche modo ha dato vita ad altre trasmissioni di successo.
«Mi hanno già accusato di autocelebrarmi, però è stato un po’ come un albero dal quale sono nati e si sono sviluppati tanti rami. Ad esempio, le trasmissioni di Milena Gabanelli, oppure il format “Un posto al sole” che ancora oggi va avanti. E poi le idee collegate al format originale, come “Mixer cultura” o “Mixer giovani”».

Lo spettatore cosa può pensare rivedendo i volti di un’Italia che non c’è più?
«Si accorgerà che quell’Italia guardava avanti, aveva uomini e donne capaci di farlo. Diventò il quarto Paese più industrializzato al mondo con un modello equo e solidale di matrice cristiana. Qualcuno potrebbe pensare che gli anni di piombo, il terrorismo, siano riusciti a frenare questa crescita. Non è dietrologia, qualcosa è successo».

Il suo legame con il Piemonte resta forte?
«Sì, sono torinese da generazioni e considero Torino la mia città anche se vivo da anni a Roma».


CHI È
Nato a Torino, si è affermato come giornalista e autore proprio grazie a “Mixer”, contenitore
culturale famoso per i “faccia a faccia”, le interviste ai personaggi del momento. Oggi,
a 77 anni, Minoli è tornato in Rai con una versione rivisitata del suo programma di successo

COSA HA FATTO
Oltre a “Mixer” ha firmato altri programmi storici. Per esempio la prima fiction della Rai, “Un posto al sole” che va ancora in onda. Oppure “Quelli della notte” con Renzo Arbore e “Blitz” con Gianni Minà. Tutti format che hanno lasciato un segno, fino a “La storia siamo noi”

COSA FA
Il suo recente ritorno televisivo in Rai è stato preceduto da una intensa parentesi radiofonica dove ha condotto – su Radio Rai 1 – “Il mix delle cinque”, altro contenitore pieno di racconti e interviste. Il nuovo “Mixer” è stato scritto assieme allo staff composto
da Giovanna Corsetti, Giulia Foschini, Sara Tardelli e Ludovica Siani, con la regia di Luca Mancini