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«Scuole e lavoro anche i ristoranti ripartano da qui»

Massimo Camia eletto presidente dei ristoratori albesi: «Capire le esigenze dei dipendenti, nel segno della qualità»

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L’uomo giusto al posto giusto. In una fase congiunturale delicata anche per la ristorazione – e anche in questo territorio – lo chef Massimo Camia (titolare del ristorante stellato a La Morra) è stato scelto come nuovo presidente dell’Associa­zione Albergatori e Ristoratori Al­besi (aderente all’Aca).

Chef, è un incarico che porta più prestigio o preoccupazioni?
«All’ultima riunione mi hanno chiesto di prendere in mano questo incarico e ho accettato volentieri. Diciamo che è utile confrontarsi per cercare di condividere idee sul tema del lavoro, per capire tutti insieme quale sia l’andamento generale e quali strade bisogna prendere, oltre a quali siano le difficoltà, sempre maggiori».

Esiste già una linea comune?
«Ci sono diverse visioni, ma siamo appena partiti. Ab­biamo fatto una riunione e ora ce n’è in programma un’altra in cui incontremo una persona che propone un sito, italiano, per ottimizzare e velocizzare le prenotazioni».

Qual è il problema principale da affrontare?

«Quello del personale. Sicu­ramente è lo scoglio maggiore, purtroppo questo lavoro rimane scollegato dalle scuole. Nonostante le nostre scuole alberghiere siano piene di studenti, poi non esiste una continuità. Si è già sviluppato un lungo dibattito nella nostra associazione su questo tema. Ognuno ha espresso idee. Ma non è solo un problema nazionale, è mondiale. Difficile da risolvere. Prenderemo però iniziative e cercheremo in futuro un approccio diverso sia con i lavoratori sia con le scuole, secondo me è fondamentale che ci sia un confronto maggiore con i ristoratori in modo da capire subito che cosa serve realmente».

A che punto siamo?

«Prima del lockdown sembrava quasi che quello del cuoco fosse un lavoro addirittura più importante del chirurgo che salva vite umane… Ora invece si è girata la “frittata” e per qualcuno siamo diventati degli sfruttatori. Ho letto articoli agghiaccianti, dettati evidentemente dall’ignoranza. Il nostro lavoro non è sofferenze e privazioni».

È un lavoro totalizzante?
«A me piaceva correre in macchina e in bicicletta e adesso il lavoro mi assorbe, ma nei ritagli ho tempo per la mia vita privata. Ho mia moglie e due figli che lavorano con me. E non è vero che gli apprendisti non abbiano sbocchi. Poi magari in qualche realtà accade, ma credo valga per tutti i lavori».

Colpa di certa tv che ha spettacolarizzato il ruolo di chef?
«Ho sentito anche fare accuse, da persone di responsabilità, davvero inaccettabili. Qualcu­no ci ha paragonato a dei carcerieri. Questo significa sobillare la gente».

Qual è la sua esperienza?
«Abbiamo tanti giovani che lavorano con molto entusiasmo. Nel nostro lavoro, spesso oltre a insegnare una professione, diamo colazione, pranzo, cena e a volte anche da dormire».

Nel programma dell’Associa­zione si parla di due riposi settimanali.

«Io li applico già da marzo, in molti siamo orientati su questa linea ed è un bene perché riposarsi è necessario oltre che utile. Certo, chiudere due giorni è anche un atto di coraggio, perché il fatturato ne risente. Però credo anche che il lavoratore dipendente abbia cambiato mentalità dopo il lockdown e noi dobbiamo capire cosa fare per venirgli incontro. Altri­menti arriveremo al punto che perderemo lavoro perché non abbiamo lavoratori».

È cambiato anche il cliente?

«Non ho questa percezione. Il cliente, soprattutto a certi livelli è sempre stato molto esigente, giustamente perché paga un conto. Piuttosto, nelle persone in genere trovo molta insofferenza e nervosismo. A Barolo, un paese piccolo, vedo che non c’è più pazienza».

Quanto pesa il problema dei costi?
«Un altro problema grave, anche in questo caso, bisogna capire cosa fare, sapendo che è una questione su scala mondiale. A livello locale sto pensando alla possibilità di ragionare su una rete di aziende, banche e fornitori di energia che possano proporre a un grupppo di ristoratori del posto contratti più convenienti. Dobbiamo valutare i dati».

Altre emergenze?
«Le chiusure in massa dopo Ferragosto. Qui è ancora pieno di turisti, non si può pensare di chiudere e riaprire a settembre. Io sono stato in ferie 12 giorni a luglio, ora siamo aperti e lavoriamo tantissimo. Una volta i Comuni regolamentavano questa materia, non succede più. Però dobbiamo garantire un servizio. Le racconto questo: l’altro giorno, girando in bike, sono arrivato in un paese dove – non faccio nomi – non sono riuscito a prendere un caffè. Tutti i bar erano chiusi».

Bisogna trovare un equilibrio?
«Penso a possibili intese, magari con i sindaci degli 11 paesi del Barolo. Se uno parte da Monaco e trova tutto chiuso quando arriva qui, non va bene».

Parliamo di cucina: ci sono nuove tendenze?
«La Langa ha un panorama vario come pochi altri posti, il livello è già alto. Io non ho mai seguito le mode, ho sempre fatto la mia cucina e credo che oggi il cliente chieda soprattutto sostanza. Lo aveva già detto un visionario come Marchesi e aveva ragione: “ora bisogna cucinare”».

È ottimista per la stagione dei tartufi?
«Lo sono di natura, per fortuna ci pensa mia moglie a farmi stare con i piedi per terra. Ma so che c’è qualità diffusa. In questi giorni qui ho mangiato pizze fantastiche. Ci sono a tutti i livelli ottime cucine e prezzi onesti, la trattoria della nonna e il locale stellato. Nel mio ristorante vedo anche una clientela – italiana – sempre più colta, che sa mangiare bene. Anche ragazzi giovani, questo mi ha sorpreso. Si è alzata l’asticella, non è vero che andiamo indietro su tutto. E abbiamo già prenotazioni per fine novembre: un miracolo in questo periodo di recessione. Il lavoro non è mai scontato, nel nostro settore il cliente ha molte scelte».

La qualità premia?
«Dobbiamo puntare su quello. La concessione selvaggia delle licenze è un altro ostacolo, la concorrenza aggressiva non fa bene a nessuno, quando si ha tanta richiesta è necessario che qualcuno imponga regole per puntare solo sulla qualità. Dalla pizzeria al tre stelle».

BaNNER
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