Cuore monumentale per la fonte Baritela: tra Sant’Anna di Monteu Roero e Vezza d’Alba

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Là dove l’acqua sgorga, nasce e cresce una civiltà. Così scriveva Talete da Mileto, già nel 600 Avanti Cristo: e così ne siamo ancora certi noi, soprattutto in un’epoca in cui la risorsa più preziosa del pianeta sta risvegliando consapevolezza intorno a sé.

«Ciò che più manca è ciò a cui più si era abituati ad aver vicini», diceva John Keats: e, idealmente, gli rispondono ora i roerini, difendendo tutto ciò che è più caro con il proprio tempo, il talento e… con il cuore, nel senso più letterale e concreto del termine. Ma ci arriviamo per gradi.

Mentre un’aura di aridità climatica e sociale rischia di pervadere l’intero pianeta, nel Roero c’è chi si adopera da tempo per preservare i luoghi in cui l’acqua è regina: come la sorgente Baritela, luogo sentito come “proprio” dalle comunità di Vezza d’Alba e di Monteu Roero, per ragioni che dal tono geografico si snodano in un vissuto di umano e di natura, di amicizia e di senso di attaccamento a un posto, alle sue suggestioni, a motivi di impegno, devozione, e natura.

E’ qui che, da alcuni anni, Dino Ferrero da Sant’Anna e i suoi amici si danno da fare per tutelare e donare un decoro ad un autentico “tesoro nascosto” delle nostre colline: nella valle di Varamone, in cui la fonte è benedetta da una statua mariana, e ogni cosa assume un senso di grazia. Dopo i lavori già svolti nel recente passato -con la creazione di un sistema di scale, tavoli, arcate e punti di sosta- la Baritela è divenuta un segreto da far risuonare: come per dire “venite qui, venite tutti, anche voi: ma con la quiete nell’animo.

Una sorgiva, due paesi: perché -lo conferma lo storico Baldassarre Molino, ossia uno dei massimi depositari del patrimonio di conoscenza di questa area- è l’unico punto di affioramento di acqua dolce e pura tra le Valli Aiello e Rubiagno, che conducono rispettivamente all’antica Mons Acutus e a Vezza stessa.

Diversa rispetto alle fonti sulfuree di Borbore o Borgonuovo: omonima, apparentata per ragioni d’argilla e per depositi ferrosi (lo dimostrano le pietre di rossore, dense di ossido), a quella del colle vezzese di San Martino.

Si arriva qui avventurandosi tra le strade bianche poste al fondo all’incrocio della Val di Vezza, giungendo da Canale, e del ripido toboga che discende da Sant’Anna, ove dall’ingegno monteacutese nacquero iniziative come il premio giornalistico del Roero, e poi “Il piatto per il Roero Arneis” e “Roero Red Top”, tra le prime manifestazioni volte a sottolineare le eccellenze enoiche della Sinistra Tanaro: c’era l’allora sindaco Giovanni Negro, Tino Marolo, proprio Dino Ferrero e tutta la squadra sodale, che un tempo componeva un sistema a cavallo tra l’idea di Pro Loco e quella di “famiglia allargata”.

SI sono radunati tutti, più volte, alla Baritela: in questo percorso tra sacro e profano, perfetto equilibrio tra tocco umano e natura circostante. Lo hanno fatto in questi anni, concedendosi anche qualche fuga non appena le maglie del lockdown pandemico lo consentirono, giusto per vedere se la loro “creatura” fosse ancora integra. Lo era: e lo è, come si è ben visto domenica, in un nuovo atto inaugurale che –così come un anno fa, promessa di tradizione- ha richiamato a sé un gran numero di persone, compresa la sindaca vezzese Carla Bonino e il parroco don Corrado Bolla, non a caso a capo dell’unità pastorale di questi due paesi.

In questa occasione, come nella migliore delle inaugurazioni, la fonte si è arricchita di un monumentale cuore sormontato dalla scritta (pardon, hashtag, chiaramente #Baritela) recante il nome questo sito: un’opera promossa da questi validi “ragazzi”, progettata con l’ausilio dell’architetto Giulia Dogliani da Cherasco, con tanto di apporto dei Cavalieri del Roero. Un cuore, una fonte, una festa divenuta ormai già proverbiale: e un Roero che, tra i suoi boschi, riassume tutti questi simboli di vita.

Paolo Destefanis