«Emergenza sociale tra reddito e lavoro Italia divisa in due»

Il condirettore di Libero ad Alba con Guido Crosetto: «Da bambino venivo per i tartufi. Qui il miglior modello italiano, difficile esportarlo. Il centrodestra deve smetterla di portare i problemi di Roma sul territorio»

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L’incontro di ve­nerdì scorso in Sala Beppe Fe­no­­glio, al Corti­le della Mad­dalena di Alba, ha radunato il Coordina­mento Albese di Fratelli d’Ita­lia attorno al fondatore, Gui­do Crosetto. Un momento scandito da grande partecipazione, nei numeri e nell’afflato che puntualmente contraddistingue ogni passaggio dell’imprenditore e politico da queste parti. Lo ha sottolineato anche Pietro Senaldi, condirettore di Libero che ha moderato la serata albese. Anche per lui, in fondo, quello nelle Langhe è stato un ritorno caratterizzato dall’emozione. «Sono milanese – ci ha detto – e con i miei non perdevamo mai l’occasione della festa medievale, nel me­se di ottobre, per venire e concederci un assaggio di tartufi. Le mie sei o sette domeniche ad Alba le ho quindi passate e le ricordo con grande piacere».

Parliamo del contesto generale attualmente in Italia: a che punto siamo?
«Dopo la pandemia, l’Italia è rifiorita, con la primavera è tornato un po’ di entusiasmo e soprattutto sono tornati i turisti da tutto il mondo. Anche gli stessi italiani che malgrado l’inflazione, stanno spendendo. Il tema ora è capire se stiamo ballando sul Titanic oppure no. Perché un po’ tutti sono preoccupati in vista di ottobre, si cerca di capire se il Covid tornerà ai livelli precedenti, se la guerra in Ucraina andrà ancora avanti e cosa accadrà all’economia. Ma per adesso godiamoci questo momento e vediamo poi a ottobre, qui ad Alba, come sarà la qualità dei tartufi… Anche se mi pare che gli esperti siano un po’ preoccupati anche da questo punto di vista».

E il premier Draghi? A ottobre sarà ancora al suo posto?

«Sul fatto che Draghi ci sarà, personalmente nutro pochi dubbi. A parte che ha appena rimesso a posto Conte, ma in ogni caso i numeri ci sono sempre e i partiti faranno bene a preparare la campagna elettorale perché il centrodestra è disunito e non ha amalgama, non c’è un progetto. A sinistra invece il campo largo di Letta mi pare ancora indefinito, non sta partendo, e quindi il risultato è che nessuno è davvero pronto alle elezioni. Non c’è una ragione, però c’è molta paura su che tipo di ripresa ci sarà e nessuno vuole prendere la patata bollente di Draghi anzitempo, nessuno si prenderà la responsabilità di staccare la spina».

Non crede a nuovi spazi nell’area di centro?
«Il centro ha da sempre un problema, quello dei numeri. E con il sistema elettorale che abbiamo e che dubito tornerà, la situazione non cambia. Il centro si è sempre formato dopo il voto, non prima. Lo si è visto con Renzi, lo si è visto con Forza Italia, perché il centrodestra è spaccato e il centro puntualmente trova un riconoscimento dopo il voto. Almeno con questo sistema. Se ci fosse uno sbarramento al 4 per cento, forse passerebbe Di Maio. Forse. O magari Calenda, chissà. Ma ci sarebbe comunque posto per uno, al massimo due. Non di più».

Quanto si discosta il modello imprenditoriale albese rispetto al resto d’Italia?

«Non vorrei dire una stupidaggine, ma credo che siamo nella città più ricca del Pie­monte. Alba rappresenta proprio il modello italiano per la qualità dell’imprenditoria. Certo, c’è la Ferrero che in questo senso vale da sola mezza Italia, ma anche al netto della Ferrero esistono im­prese mol­to specia­lizzate e molto verticali, questa ricchezza è davvero il risultato del modello italiano per eccellenza. Penso alla qualità, alle dimensioni magari non troppo grandi, allo stile di vita italiano. Però il discorso è che non si tratta di un’economia improvvisata, quella di Alba è secolare, quindi non è che si possa prendere e impiantare altrove. Sono cose che si costruiscono nelle generazioni. Sì, seguendo anche un percorso culturale. Ma sono processi che sgorgano dal territorio e difficilmente possono essere gestiti dalla politica. La politica può agevolarli evitando di rompere le scatole. Certo, sì può fare una semina culturale, però non basta».

Qual è la prima emergenza che l’Italia deve affrontare?
«Credo che sia la questione sociale, che non passa solo attraverso il reddito. C’è un’Italia divisa, con una metà che lavora, guadagna, produce e ha i mezzi e c’è un’altra metà che ha poco per la sua sussistenza oppure che si sta bruciando le ricchezze lasciate dalle generazioni precedenti. E allora il problema dell’Italia è cercare di avere un paese socialmente omogeneo che spinga nella stessa direzione. Però la verità è che l’Italia ha tanta bellezza, ma non è proprio un paese omogeneo…».

Ne avete parlato con Cro­setto?

«Questo è un appuntamento nato ad Alba, con Crosetto che ha incontrato i suoi amici. E infatti l’ho visto molto emozionato. Lo conosco bene e mai l’avevo visto così coinvolto. È stata una piacevole sorpresa perché ho capito quanto lui stesso respiri la vitalità di questo territorio».

Vede qualche imminente no­vità nel panorama politico?
«Mi sa che andremo avanti così, bisogna vedere nella Lega come evolve la leadership di Salvini, che non penso cambierà ma in qualche mo­do evolverà. E poi vedremo cosa accadrà nei rapporti tra i leader del centrodestra: mi spiace dirlo ma normalmente l’intesa del centrodestra nasceva sul territorio che vinceva e poi si trasferiva a Roma. Quindi c’era un’osmosi positiva, dal territorio a Roma, appunto. Adesso invece mi sembra che il processo sia inverso e che le liti romane, le mancate intese nella Capitale, sono fattori che si ripercuotono negativamente sul territorio. Non parlo di Alba in particolare, ma ciò che a Roma diventa un problema poi lo è anche per il territorio generalmente e questa è una tendenza letale, da fermare al più presto e tornare a invertire. Perché altrimenti il centrodestra perderà un altro giro».

Ci descrive il ruolo del suo giornale, Libero, nell’attuale panorama dell’Informazione? Un ruolo controcorrente?
«Siamo un giornale d’area ben definita che è attivo esattamente da 22 anni a questa parte, da quando cioè lo ha fondato Vittorio Feltri, che era proprio nel mese di luglio. Abbiamo sempre seguito il centrodestra con grande affetto ma al tempo stesso con la giusta distanza, per poter essere anche critici nella giusta misura. Lo siamo stati già con Berlusconi, con Bossi, con Fini, con lo stesso Casini – che ricordo, era anche lui di centrodestra! -, lo siamo ora nei confronti di Meloni e Salvini. Sempre con affetto, ma quando vediamo che fanno un autogol, ci dispiace e lo segnaliamo. Se ci troviamo in minoranza? I giornali di destra sono pochi, diciamo che noi siamo più liberi di altri perché alcuni hanno magari vincoli proprietari e altri societari, mentre noi essendo fondamentalmente “poveri” da quel punto di vista, ci concediamo il lusso di avere pochi padroni. E ci va benissimo così».