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Biodiversità, l’essenza in un menù autentico

Gemma, la cuoca delle Langhe per eccellenza, celebra il progetto italo-francese “Biodiversità Stellata” immaginando un pranzo a base di erbe spontanee: «Evocano emozioni che appartengono alla collettività»

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«Buoni. Tanto buoni. Buoni che emozionano…». Quando parla dei ravioli alla borragine, Gemma Boeri si illumina. «Lo dico in generale, non pensando necessariamente a quelli che preparo io – puntualizza la proprietaria della storica osteria di Roddino che porta il suo nome -. In quei “plin” c’è un ripieno speciale».
Abbiamo interpellato la cuoca delle Langhe per eccellenza con un obiettivo preciso: far comprendere come le erbe spontanee al centro del progetto italo-francese “Biodiver­si­tà Stel­la­ta/Bio­di­ver­sité Étoilée” – promosso dal Comune di Alba assieme ai partner Le Bourget-du-Lac, La Motte-Servolex, Comune di Cogne e Gal Langhe Roero Leader, sotto il cappello di Alcotra Interreg V-A – costituiscano un elemento essenziale della cultura identitaria e gastronomica territoriale.

Ma torniamo ai ravioli alla borragine e al loro ripieno “speciale”. «Non serve nessun ingrediente segreto – prosegue Gemma -. La borragine, nella sua semplicità, va oltre il gusto e, unendosi con la pasta all’uovo fatta a mano e con la ricotta, diventa un racconto, parla di tutto quello che sono le colline, della natura che le circonda, delle persone che le abitano o che le hanno abitate».

E lo stesso vale per la variante preparata impiegando la pianta del papavero. «Va presa prima che sboccino i fiori. Regala anch’essa un ripieno straordinario». Borragine e papaveri, dunque. Ma di versioni alternative se ne potrebbero immaginare altre. Tutte unite da un denominatore comune: le erbe spontanee che crescono tra vigneti e noccioleti dell’Albese o lungo i versanti transfrontalieri. Erbe che, appunto, “parlano”, emozionando. «Sono sta­te mia nonna e mia mam­­ma a farmele conoscere – racconta Gem­ma, con gli occhi pieni di commozione -. An­dava­mo a raccoglierle assieme, nei campi op­pure lun­go le strade. Oggi le rac­colgo an­cora io ma c’è anche qualche pa­rente che me le porta. In primavera, so­no gli in­gredienti mi­glio­ri».

E i modi per declinarle in cucina sono tanti. Tutti semplici, ma capaci di esprimere al meglio l’essenza della biodiversità vegetale.
«Con le erbe selvatiche, oltre ai primi piatti – spiega la cuoca -, si possono cucinare antipasti e contorni. Penso soprattutto alle insalate. Le preparo con la cicoria, il tarassaco e, a volte, con i fiori delle primule, con l’insalata del bastone o con la pimpinella. Poi le servo quasi al naturale, condendole soltanto con un pizzico di olio o aceto. Oppure le frittatine…». Qui si apre un capitolo, anzi, un menù, a parte: «Si tratta – precisa la ristoratrice – delle tradizionali frittatine all’uovo che, però, in questo caso, sono rese straordinarie dal sapore delle erbe selvatiche: ancora cicoria, tarassaco oppure papavero. Ogni tanto, poi, aggiungo la menta oppure la salvia». E, una volta spadellate, anche loro si mangiano praticamente al naturale, proprio come le insalate: «Al massimo, possono essere accompagnate con qualche fetta di pane, meglio se quello di campagna».

Via via che il pranzo “selvatico” prende forma, le erbe continuano a evocare ricordi. Ricordi del passato che fanno parte di un modo di essere divenuto nel tempo patrimonio collettivo ed espressione straordinaria di territori autentici. «Mia mamma – osserva la cuoca – ci diceva che molte di queste erbe avevano proprietà depurative e benefiche per l’organismo e così, ogni primavera, per otto-nove giorni, ci somministrava una dieta a base di frittatine e insalate alle erbe selvatiche… Un servizio doppio!».
Sorride, Gemma, immaginando già la prossima portata. «Le erbe spontanee sanno regalare suggestioni speciali an­che quando si trovano ad accompagnare i secondi, specie quelli di carne – sottolinea la cuoca -. È il caso, ad esempio, dei “livertin”: li preparo come dei normali asparagi, bollendoli e poi servendoli con un po’ di olio e magari una spolverata di parmigiano».

A fine pasto, le erbe selvatiche possono diventare pure dolci peccati di gola, «basti pensare – conclude Gemma – alla marmellata di sambuco oppure ai “digestivi”, come il classico limoncello oppure a quello che preparo mettendo a bagno nell’alcol le foglie di basilico». Insomma, delizie nella delizia che completano un viaggio straordinario nella biodiversità: salvaguardare questa autenticità è una sfida che dobbiamo vincere tutti assieme.