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Sorrentino da Oscar con una storia vera tra dolore e gioria

“È stata la mano di Dio” uscirà il 24 novembre nei cinema e poi su Netflix. Un racconto autobiografico

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La notizia è che Paolo Sorrentino parteciperà alla selezione per il miglior film internazionale come candidato all’Oscar con il suo “È stata la mano di Dio”. Il regista napoletano ha commentato: «È il mio film più importante e doloroso e sono felice che tutto questo dolore oggi sia approdato alla gioia».

Per ora la notizia è questa, in attesa di eventuali sviluppi: le nomination saranno annunciate il prossimo 8 febbraio 2022, la consegna degli Oscar avverrà come sempre a Los Angeles, negli Stati Uniti, il giorno 27 marzo.
Un premio il film lo ha già vinto alla Mostra del Cinema di Venezia, dove ha ottenuto il Gran Premio della Giuria oltre al Premio Mastroianni assegnato al protagonista, il giovane Filippo Scotti. A fine mese, il 24 novembre, l’ultimo lavoro di Sorrentino uscirà nei cinema, in alcune sale selezionate, mentre dal 15 dicembre sarà a disposizione degli utenti della piattaforma digitale Netflix.

La trama si sviluppa a Napoli negli anni Ottanta. Il protagonista Fabio, detto Fabietto, vive il sogno di avere Diego Armando Maradona nella sua città. Ma c’è una tragedia familiare pronta a sconvolgere i piani. I protagonisti han­no nomi importanti, da Toni Servillo a Teresa Saponangelo fino a Luisa Ranieri. Il grande dolore a cui fa riferimento Sorrentino è lo stesso del film, perché tutto ruota attorno alla morte dei genitori che nella finzione sono quelli di Fabio, l’alter ego del regista. Da lì nasce il dolore devastante che il regista stesso dice di aver dovuto contenere nel film per non farne una rappresentazione fedele ma eccessiva, che sarebbe stata insostenibile per lo spettatore. Si tratta di una piccola, intensa confessione.

Ma tutto il cinema di Sorrentino, che l’O­scar lo vinse nel 2014 con “La grande bellezza”, è permeato da sentimenti malinconici, dal tema della perdita e della solitudine.

«Questo film è molto più semplice, è sulla gioia e sul dolore», ha detto Paolo Sorrentino in una recente intervista.
Ha anche spiegato che i protagonisti della storia, con le loro buffe stranezze, sono una co­pia esatta dei parenti del regista stesso ai tempi dell’infanzia vissuta a Napoli.

«I napoletani sono plateali, hanno un istinto recitativo molto forte. Mi sono fatto l’idea che sia una conseguenza delle dominazioni: per in­graziarsi l’invasore di turno, dovevano essere bravi, buoni e servili. Dovevano quindi recitare».
Per Sorrentino, oltre al peso dei ricordi, è stato difficile girare scene a Napoli perché è dovuto tornare in quel caos dal quale era fuggito: «È una città ostile perché caotica, non a caso ho girato due dei miei film in Svizzera».
E poi c’è Maradona, la mano di Dio che incombe, è sottesa al film. Il regista ricorda da ragazzo la speranza e l’emozione di vederlo apparire all’improvviso in città, scendendo da una Panda per non farsi identificare.

Maradona arrivò in una Na­poli cupa, in crisi, dopo un ter­remoto e nel pieno di una guerra intestina tra vecchi e nuovi camorristi. Diego rappresentava, quindi, una promessa di liberazione, una via d’uscita, un miracolo. Quello che il protagonista del film, alter ego di Paolo, non può avere. I suoi genitori muoiono e lui non riesce neanche a vederli in ospedale; quasi impazzisce per il dolore, tan­to è grande il trauma. Perché senza il congedo, senza un sa­luto, quell’addio suona come un abbandono. E da lì tutto nasce di conseguenza. Per stare meglio, forse, Sor­ren­tino aveva davvero bisogno di fare un film così.

BaNNER
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