«Canto con la stessa passione di 50 anni fa»

Con il concerto di Coazzolo Piero Montanaro ha confermato di essere un grande artista, davvero inossidabile e carismatico

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Per ringraziare le oltre 500 persone che hanno assistito al concerto di qualche giorno fa a Coazzolo, suo paese natale, Piero Mon­ta­naro ha scritto un post su Facebook intitolandolo: “Chi te lo fa fare?”. In realtà, chi ha assistito alla sua esibizione in occasione dell’evento nel paese tra Langa e Monferrato si è posto una domanda diversa: Chi potrebbe impedirgli di farlo? A 75 anni, infatti, Piero Montanaro ha energia e repertorio per deliziare il pubblico per oltre tre ore, ma anche per coinvolgerlo con la sua “vis comica”, commuoverlo (e commuoversi) con l’interpretazione, per la prima volta, di “Ninna nanna mamma”, una poesia in musica cantata a poche centinaia di metri di distanza dal luogo che ospita le spoglie della madre. Ha cominciato a cantare nel lontano 1965 e a scrivere canzoni nel 1970 andando incontro, in oltre cinquant’anni di attività a fatiche, illusioni e delusioni, ma anche gioie e gratificazioni, condividendole con il suo pubblico.

Piero, cosa ha rappresentato per lei questo concerto?
«È stato importante, perché si è trattato della realizzazione di un evento molto desiderato, soprattutto dopo aver scritto molte canzoni che prendevano spunto dal territorio. “Pais”, “amis”, “collina”, “terra”, “mamma” sono parole che ricorrono spesso nelle mie canzoni e che ho ripetuto più volte cantando in quel posto magnifico che è l’anfiteatro di Coazzolo, affacciato su Neive. Quella sera mi ha stupito la grande affluenza di forestieri; c’erano anche tante persone non del paese, venute a posta per ascoltare le mie canzoni. Mi ha fatto molto piacere».

Anche a Coazzolo non si è limitato a cantare. Definirla con un ruolo unico è un’operazione tutt’altro che banale, perché qualunque definizione secca è restrittiva.
«Sono un uomo di spettacolo, se vogliamo dire così: oiltre a cantare e a scrivere le canzoni, presento, realizzo, curo la regia. Nel caso del concerto di Coazzolo non era semplice gestire il fatto di interfacciarsi con tanti altri ospiti, al di là della presenza continua di mio figlio Daniele. Sono intervenute anche alcune corali, a dimostrazione di come le mie canzoni ormai fanno parte della musica popolare piemontese. È stato bello sentire rinnovarsi il senso di amicizia legato a questi brani, che facevano da “trait d’union”, per arrivare al momento più applaudito della serata: una novità assoluta che non avevo mai cantato in pubblico: non la conoscevano neanche mia moglie e mio figlio. Mntre cantavo “Ninna nanna mamma” a 200 metri da mia madre, che è mancata da poco, c’erano sentimenti contrastanti in me: è stato un momento di gioia e di tristezza al tempo stesso, ci sono stati attimi in cui non riuscivo a cantare, passaggi del testo che ho sbagliato. Mi sono rivolto verso il cimitero in cui riposa. Si è creata una specie di magia. Molti, andando via a concerto finito, mi hanno ringraziato per questo momento emozionante. La canzone è originale, perché ribalta il senso della ninna nanna classica: in questo caso sono io che canto una ninna nanna a mia madre per augurarle buon riposo, un buon riposo eterno».

Come è nato questo brano?
«Una mattina in cui sono alzato particolarmente presto, ho iniziato ad ascoltare un pezzo musicale inviatomi da Bruno Conti ed è venuto fuori il testo. Mi è sembrato di essere uno scultore che dal blocco di marmo tira fuori la scultura. Nella musica c’erano le parole. Al di là del sentimento che c’è dietro, penso che sia una buona canzone».

Per lei come è stato il periodo del lockdown?
«Da un punto di vista lavorativo, è stato particolarmente produttivo: avrò scritto una ventina di canzoni. Il Covid, però, ha bloccato due progetti che mi riguardano: una “fiction” che si doveva registrare tra Roma e la Sardegna il cui filo conduttore sarebbe dovuto essere “Amici miei” e uno speciale di RaiTre sulle mie canzoni».

Il fatto di essere piemontese pensa sia stato un limite?
«Il piemontese non è una lingua facile, soprattutto da scrivere. Ho trattato il piemontese nel 99% dei casi come una lingua con cui si esprimono sentimenti importanti, grandi concetti, con l’intento di darle la dignità di una lingua. Invece abitualmente il nostro idioma viene usato dagli artisti per far ridere; funziona per la farsa e la commedia: il piemontese come caricatura. Chi fa musica popolare, lontano dai veicoli promozionali importanti, è spesso considerato un artista di serie B, che non merita particolare riguardo. E questa mancanza di rispetto del lavoro altrui mi fa imbestialire».