«Le barriere più alte sono quelle mentali»

Nicola Dutto ha aiutato Simone a realizzare il sogno di Marika, disabile dalla nascita

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Quando si parla con Nicola Dutto, un vero “mostro delle due ruote”, sembra di scambiare quattro chiacchiere con una persona “normale”. Normale perché con tutta la sua semplicità riesce a nascondere che cos’è davvero: un pun­to di riferimento e un uomo che ha saputo andare oltre, ottenendo grandi risultati. Ma normale soprattutto perché, nonostante una disabilità ne abbia frenato in parte il corpo, le sue parole sono sempre quelle di un uomo “normale”: nessun eccesso, nessuno sconfinamento nella retorica spesso tipica di temi così delicati e solo tanto impegno. Un modo di essere che emerge anche parlando della straordinaria storia di Marika e Simone, che lo ha visto coinvolto in modo diretto.

Dutto, come è arrivato a lei il “bomber” Simone, coinvolgendola in questa iniziativa?
«Attraverso un’amicizia in comune. La veronese Francesca Gasperi, fotografa e “tester” di importanti case motociclistiche, lo conosce. Simone le aveva parlato di questo progetto e delle difficoltà nel gestire la seduta di Marika sulla moto. Così Fran­cesca me lo ha presentato, ci siamo conosciuti e io ho poi fatto da semplice intermediario».

Come gli è stato d’aiuto?
«Io non ho fatto altro che metterlo in contatto con un’azienda che conoscevo e che produce sedute su misura: un loro macchinario genera una sorta di calco del corpo, attraverso l’utilizzo di un software, e partendo da quel disegno è possibile realizzare delle sedute su misura».

Insomma, un tramite decisivo. Che cosa rappresentano per lei iniziative di questo tipo?
«Devo ammettere che guardando il servizio mi sono commosso. Ho pensato a Marika e a tutti i ragazzi come lei che non hanno la possibilità di assaporare la libertà, perché racchiusi in un corpo che non fa ciò che vogliono. Io stesso, almeno all’inizio dopo l’incidente, ho provato questa sensazione e so bene cosa significhi. Dare la possibilità a chi vuole provare grandi emozioni, e per di più attraverso la moto, è bellissimo. So il senso di libertà che ti danno le due ruote».

Imprese come questa quale contributo possono dare al mondo della disabilità?
«Sarebbe scorretto dire che danno una speranza, ma sicuramente servono per dimostrare che c’è l’opportunità di fare qualcosa e di andare oltre alle barriere mentali che a volte ci si costruisce. È importante mo­strare a tanti ragazzi che con l’iniziativa e l’ingegno si può fare tanto. Marika non potrà guidare ma potrà sicuramente essere un ottimo passeggero e vivere grandi emozioni».

In molti dicono che anche imprese come la sua possano essere d’esempio. È così?
«Voglio partire da una premessa: io non mi sono mai sentito un esempio, anzi, non ho mai fatto nulla per esserlo. Ho semplicemente cercato di adattarmi alle nuove esigenze del mio corpo, dopo l’incidente del 2010. Non mi aspettavo di tornare in moto, ma, quando ho deciso di farlo, l’ho fatto perché sentivo la voglia di provare a guidare come un tempo. Inizialmente, volevo solo divertirmi, poi mi sono accorto che mi piaceva come prima dell’incidente e non ho più smesso, iniziando a praticare questo sport con serietà».

Ma non le fa piacere sapere di essere un punto di riferimento?
«Indubbiamente sì, ma non ho iniziato a fare moto con questo obiettivo. Con questo, voglio dire che ogni individuo che si trova costretto ad affrontare una disabilità deve trovare per sé uno sbocco, indipendentemente dagli altri. Questo è stato per me il motociclismo: un modo per superare le difficoltà dei primi mesi. Essere sotto i riflettori mi fa piacere, ma io voglio solo divertirmi ed assaporare la stessa libertà ricercata da Marika».

Un consiglio da dare a quei ragazzi che sognano di essere Nicola Dutto?
«Io quello che dico a tutti è questo: non è scontato andare in moto o comunque fare sport quando si è disabili. Io ero già un motociclista e non ho fatto altro che adattarmi al mio nuovo corpo, ma ci sono riuscito grazie ad allenamento e sacrifici. Bisogna ripartire dalle basi e avere la costanza di continuare a lavorare. La carrozzina non deve essere un lasciapassare per trovare delle scorciatoie, come talvolta mi è capitato di vedere. La meritocrazia deve esistere anche nel nostro mondo».

I suoi programmi passata la pandemia?

«In questi mesi abbiamo navigato a vista. I programmi di quest’anno sono stati stravolti: dovevo essere in Spagna, in Nevada e California ma è saltato tutto. L’anno prossimo ripartiremo da zero, con un occhio di riguardo al mese di gennaio 2022, quando spero di poter tornare a disputare la Dakar. Nel 2019 ho iniziato un progetto che non è andato a buon fine e ora voglio completarlo».