«Il vero lusso è imparare a perdonarsi»

Carlo Pignataro gestisce il suo business tra Dubai e Dublino e fa base a Cherasco

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“I am Carlo Pi­gnataro and you are listening to a new episode of ‘Lux and tech’”: così iniziano i podcast del “luxury coach” di origine torinese che, pur continuando a gestire il suo business tra Dubai e Dublino, ha trovato in Cherasco “un posto magico” in cui vivere con la sua famiglia. Imprenditore, consulente e scrittore, Pignataro ha alle spalle una pluridecennale esperienza nel campo della moda e del lusso, rafforzata dalle collaborazioni con prestigiosi brand legati al settore automobilistico, immobiliare, bancario, della moda e della gioielleria. La sua è una figura chiave in grado di supportare le aziende e i singoli imprenditori di ogni settore ad acquisire un concetto nuovo e più dinamico di lusso per trasferirlo in esperienze significative da offrire ai clienti. Nel suo studio in un elegante stabile di Cherasco, dove avviene l’intervista, tutto è ordinato, essenziale e permeato di vibrante energia. Un piccolo esercito di chitarre, una fila di libri, la luce perfetta. La voce è un allenato strumento di lavoro. L’inglese, la lingua madre dei concetti espressi, spesso sbuca come un profumo dalle mani di un cuoco. «Dall’uso dell’ascolto attivo, fino all’attenzione al linguaggio che usiamo», spiega, «tutto può contribuire a regalarci relazioni più soddisfacenti. Un lusso che dovremmo davvero concederci».

Ci spiega meglio la figura del “luxury coach”?
«Questo termine sintetizza la mia esperienza nel lusso e il mio progetto di formazione per chi in questo mondo opera. Scrivo programmi di formazione per aziende, organizzo “workshop”, convegni e offro strategie per aziende interessate al business internazionale, specialmente nel Medio Orien­te. Per clienti internazionali come Sephora, il gigante delle telecomunicazioni Du o la catena del lusso Damas, ho scritto l’esatto cerimoniale di vendita. In breve, racconto come creare un’esperienza indimenticabile dal punto di vista emotivo ed efficace dal punto di vista delle vendite».

Che cosa definisce un prodotto di lusso?
«ll percepito. Amo ripetere che, come la bellezza, “il valore sta negli occhi di chi guarda”. Spesso acquistiamo un prodotto non tanto per il valore in sé ma per quello che percepiamo. Comprando una penna Montblanc, a esempio, o una borsa Louis Vuitton non acquistiamo un oggetto ma la sua storia, la tradizione e soprattutto la riprova sociale che susciterà. Durante il mio lavoro con Luxottica ho dimostrato che anche un occhiale può essere percepito lussuoso come un gioiello. I clienti “millennial” (quelli nati tra il 1981 e il 1996, ndr), e la successiva Ge­ne­razione Z sono invece meno attenti alla formalità ma sempre molto interessati all’emozionalità e alle sensazioni emanate da un marchio, da un prodotto, da un luogo. Il lusso ha sempre a che fare con la verità».

Come quando si portano i turisti di alto livello in una piccola trattoria piuttosto che in un ristorante blasonato?
«Esattamente. La differenza è che il ristorante di livello ne ha fatto un metodo, ha aggiunto “consistency”, costanza, e non scende mai sotto un certo livello. La cuoca della trattoria ma­gari no. Le faccio un esempio: i “tajarin” sono qualcosa di semplice. Ma se uno chef li prepara meravigliosamente bene, tutti i santi giorni, allora è il lusso. Altrimenti no. Il lusso è la tensione costante verso l’eccellenza, consiste nel fare del proprio me­glio senza allontanarsi mai dal­la propria verità, cultura, principi».

Com’è cambiato questo concetto nel tempo?
«Le nuove generazioni sono sempre più attente ai valori. I ragazzi comprano prodotti dei quali condividono la filosofia. Un’azienda che non inquina ed è attenta al benessere dei propri dipendenti avrà più “appeal” rispetto a una che faccia il contrario. Nella gioielleria i clienti esigono diamanti non collegati con sfruttamento e criminalità. Il lusso si sta democratizzando e al contempo tutti gli altri settori stanno alzando il livello per adattarsi alle nuove aspettative. Per questo è cruciale per le aziende avere il controllo delle esperienze».

Quali sono i tre spunti per offrire un prodotto indimenticabile?

«Avere consapevolezza, ovvero capire esattamente quello che si desidera offrire e conoscere i desideri segreti del proprio target. Prendersi la responsabilità nell’esperienza: non è il cliente che non ha capito, ma sono io che non l’ho saputa spiegare correttamente. Esercitare la costanza: la perfezione non esiste, ma solo lo sforzo continuo verso di essa produce il risultato».

Nei podcast parla anche dell’importanza delle parole.

«Dobbiamo scegliere termini che restituiscano l’esperienza che desideriamo produrre. In­vece di “negozio” usiamo “boutique”, invece di “fabbrica”, “laboratorio”, invece di “sì” rispondiamo “con piacere!” Sono piccole forme di elevazione del percepito».

Cos’è meglio non dire?

«“Bello da morire” o espressioni che evochino qualcosa di ne­gativo e il “no!” secco. Am­pliare il linguaggio significa au­men­tare la capacità di pensiero».

E il linguaggio non verbale?

«Dobbiamo essere consapevoli del fatto che in ogni nostra scelta lanciamo informazioni. Dal­l’abito al taglio di capelli, a come ci muoviamo nello spazio, tutto è un messaggio. La neuroscienza spiega come il nostro cervello rettile, collegato ai bisogni primari, domini le nostre scelte. Come imprenditori dobbiamo esserne consapevoli e lanciare messaggi coerenti con quello che desideriamo comunicare».

Un segreto per portare a termine una trattativa senza errori?

«È fondamentale avere il controllo del livello di energia che si crea durante una conversazione e gestirla. Se si sta vendendo un’assicurazione, bi­sogne­rà man­­tenerla bassa. Se si sta proponendo prodotti sportivi invece bisognerà lavorare per alzarla. Ma il primo passo è sempre adattarsi a quella dell’interlocutore, ovvero, ascoltarlo con attenzione».

Come nascono invece le sue interviste con gli esperti internazionali di “Lux and tech”?
«Il Covid ha accelerato il processo di digitalizzazione del mondo, si va verso esperienze sempre più ibride, sia dal vivo sia online, e un capitalismo automatizzato in cui il lavoro pratico dell’uomo forse non sarà più necessario. Io ho capito che l’unico modo per anticipare questi cambiamenti è imparare dai migliori esperti. Per questo ho accostato i due soggetti fon-damentali per il mondo di domani: la tecnologia e la scien-za da un lato e il “life style” e il lusso dall’altro. Le interviste, con leader del calibro di Alec Ross, già consulente per l’innovazione di Obama, oppure Josh Weiss che insegna negoziazione ad Harvard e molti altri, sono tutte in inglese ma sono alla ricerca di partner qualificati che mi permettano di offrire questi contenuti a un pubblico ancora più ampio in Italia».

L’intervista che è stata un colpo al cuore?

«Quella con l’autrice americana Olivia Fox Cabane che sostiene “se dovete fare un regalo a vostro figlio, insegnategli la capacità di perdonarsi”».

Questo concetto non contrasta con la tensione verso la perfezione?

«No. Bisogna conoscere l’errore, comprenderlo, ma poi “mo­ve on!”, si va avanti. La maggior parte degli imprenditori non chiede “feedback” ai clienti perché teme le recensioni negative e ha paura di affrontare i propri sbagli. È un peccato perché è proprio da questi che impariamo, dopo esserci perdonati, a essere persone migliori».