Massimo Berruti raccontato dalle sue muse

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Renata Viola Selilu­kaite, Valeria Galli­na, Sabrina Testore e Mi­caela Chiola sono le quattro modelle ispiratrici dell’artista canellese Mas­simo Berruti.

«Per me non sono semplici modelle», dice il settantaduenne pittore, «ma delle vere e proprie muse, che mi ispirano non solo visivamente con la loro bellezza ma con la loro personalità, la loro interiorità, il loro essere. Prima di ritrarle, parlo a lungo con loro, di tutto. Poi, in base a quello che ho percepito essere il loro stato d’animo del momento, faccio loro indossare qualche indumento particolare, che resta unico e adatto alla loro fantasia, dopo di che giro dei video in pose diverse, anche scelte da loro, per poi trarre l’immagine che più mi ispira, che sento più coinvolgente. Solo allora passo a realizzare il dipinto con il mio aerografo. La “musa” non è più una modella ma la coautrice dell’opera».

I quadri di Massimo Berruti sovente sono opere di grandi dimensioni, spesso scomposte in più pannelli e comprendono tratti geometrici che evocano mondi lontani, extraterrestri. Le protagoniste della gran parte di questi quadri sono Valeria, la prima a posare per Berruti, schiva e un po’ chiusa di carattere, a “modella” preferisce “assistente”; Sabrina, allegra e spigliata, con una risata contagiosa; Renata, la lituana Lady Europa, timida e statuaria, amica prima che modella di Massimo, e Micaela, la più giovane, venti anni appena, dal fisico prorompente.
Ma sentiamo dalle protagoniste come vivono questa loro esperienza “artistica”.

Com’è iniziata la vostra collaborazione con Massimo?
Valeria: «Ho accettato di posare per fare un favore ai miei genitori. Ora io, con un carattere così chiuso, sono quella che da più tem­po posa per lui. All’im­ba­raz­zo iniziale è subentrato un forte legame: ci confrontiamo e ci scambiamo consigli e opinioni».

Sabrina: «Grazie ad un’amica comune. Un giorno mi ha detto che un pittore mi aveva notata e voleva conoscermi. Ho acconsentito a incontrarlo e lei mi ha presentata a Massimo. Dopo aver chiacchierato a lungo mi ha chiesto se volevo entrare a far parte del suo mondo. Ho subito accettato con piacere ed entusiasmo questa avventura».

Renata: «Ho conosciuto Mas­si­mo perché era l’allenatore di mio figlio Alessandro. Lo conoscevo solo come campione di pallapugno. Un giorno, allo sferisterio, mi ha detto che era un pittore e mi ha chiesto se volevo posare per lui. Ho accettato volentieri e posso dire che è molto facile lavorare con e per lui.»

Micaela: «Avevo dodici anni quando Massimo mi vide passare, per caso, davanti al suo studio e, tramite un’amica, chiese a mia mamma se potevo posare per un ritratto. Da allora, sono passati otto anni, ho iniziato a frequentare regolarmente lo studio e la nostra conoscenza si è sempre più approfondita».

Cosa avete provato di fronte al vostro primo ritratto?

V: «Ancorché molto lusingata, devo dire che non mi sono riconosciuta nel ritratto ma ho realizzato che comunque era un’opera che mi rendeva, come dire, im­mortale. Perché l’arte è comunque immortale».
S: «È il mio ritratto che amo di più, il primo. Quando l’ho visto ho detto: “Che cavolo!” Io sono così, per me quell’espressione era il top della felicità che provavo. Poi, come dice Valeria, un’opera pittorica ti fa entrare nella storia».
R: «Mi sono emozionata tantissimo: era la prima volta che vedevo un mio ritratto. Massimo me l’ha regalato e ora è appeso nel mio appartamento. Ho provato tanta emozione e un po’ di orgoglio».
M: «Come ho detto, avevo solo dodici anni, ma quando ho visto il mio ritratto sono rimasta a bocca aperta. Sembrava di vedermi riflessa in uno specchio! Oggi quel ritratto, che mi ha regalato, fa bella mostra in camera mia».

Avete mai provato imbarazzo?

V: «No. Non era quello che volevo fare, ma imbarazzo no».
S: «Assolutamente no. È stato tutto molto naturale».
R. «Ero elettrizzata, ma non imbarazzata».
M: «All’inizio sì, perché ero veramente piccola, ma con il passare del tempo ho acquisito sempre maggior sicurezza in me stessa e l’imbarazzo è presto svanito».

Avete mai imposto una vostra decisione su un’opera?
V: «Mai. Cerco sempre di assecondarlo perché il sogno pittorico da realizzare è il suo, non il mio».
S: «Cerco sempre di essere in sintonia con Massimo, ma ogni tanto gli faccio presente quali sono i miei punti di vista».
R: «Sì, qualche volta sì. Specie per questioni di estetica».
M: «No, in merito all’opera mai. Qualche volta posso suggerire un accessorio, il tipo di trucco o una posa ma nulla di più».

Queste “sedute artistiche” vi hanno arricchito interiormente?

V: «Sì, sono cresciuta soprattutto interiormente, perché Massimo è una persona con cui si può parlare di tutto, non solo di pittura».
S: «Con Massimo ho conosciuto una bella persona con cui ti puoi confidare e che ti da una mano a risolvere i tuoi problemi».
R: «In questi due anni ho aumentato la sicurezza in me stessa, la mia autostima».
M: «Sono arrivata che ero una bambina e ora posso considerarmi donna. Nella mia crescita, nel mio cambiamento c’è molto di Massimo».

Avete qualche aneddoto relativo a qualche seduta da raccontare?
In coro: «Ci siamo divertite molto una volta a fare delle foto assieme, in pose anche spiritose. Massimo non era molto d’accordo, ma alla fine ha ceduto».
Massimo Berruti: «Te lo racconto io un aneddoto. Riguarda Valeria e il suo non voler apparire. Una volta ho fatto un quadro, che poi le ho regalato, con lei che indossa un abito burlesque, con tanto di calze e reggicalze. La particolarità è che lei tiene la mano davanti alla faccia per non farsi riconoscere! Per farle il ritratto ho dovuto accettare le sue condizioni».

Avete un desiderio che vorreste che Massimo realizzasse?
V: «Vorrei che si mettesse di più in mostra, che si adoperasse maggiormente per far conoscere le sue opere. Che si imponesse un po’ di più sul mercato».
S: «Vorrei che realizzasse un quadro con noi quattro assieme. Non l’ha mai fatto ma sono certa che sarebbe bello. E poi, sì, dovrebbe farsi conoscere di più dal pubblico come artista che come sportivo».
R: «L’unico desiderio che ho è quello di poter continuare a lavorare con lui. E che si decida a farsi conoscere anche come pittore, lui che è ricordato soprattutto come campione di pallapugno».
M: «Mi piacerebbe molto che Massimo accettasse di fare qualche mostra all’estero, in qualche grande città, tipo Parigi, Londra o New York, per poter vedere esposta qualche opera che mi raffigura, qualche mio ritratto. Sarebbe una felicità immensa».

Articolo a cura di Elio Stona