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L’ombra dello sciamano

La storia di Jake Angeli, tra gli assalitori del Congresso Usa, lascia una sensazione netta: più figurante eccentrico che pericoloso sovversivo, giovanotto da compatire e non solo da condannare. Il contrappasso ha trasformato la voglia di visibilità in simbologia negativa e avvolto di sospetto chi si nutre di complotti

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Le corna da bisonte, la pelliccia aperta sul petto nudo, i tatuaggi confusamente ispirati a mitologie antiche e simbologie estremiste. Personaggio già nel “look”, il signor Jacob Anthony Chansley, “alias” Jake Angeli, da Phoenix, lo sciamano simbolo dell’assalto a Capitol Hill. “Entrato con violenza, seminando disordine”, secondo la Procura Generale del District of Columbia, “Entrato da una porta già aperta secondo quanto chiesto dal presidente Trump”, replica lui.
Jake, 33 anni, è un fedelissimo delle manifestazioni dell’ultradestra e delle marce ambientaliste: alle spalle un diploma alla Moon Valley High School e, secondo la madre, un passato nei “marine”, sui “social”, oggi oscurati, oltre che aspirante cantante, si definisce attore e doppiatore. Qualche lavoretto di doppiaggio, poca roba, lo rimedia davvero, trucchi e costumi li indossa invece più in piazza che su palcoscenici o set, catturando attenzione ogni qual volta una protesta lo attiri: vichingo, indiano o bandito, travestimenti variabili che poi cerca di rivendere.
Di primo acchito, personaggio colorito e strampalato, in fondo innocuo, che di sciamano, inteso “leader” carismatico, nulla possiede, ma c’è chi invita a non fidarsi dell’apparenza per non cadere in una trappola opposta: liquidare cioè frettolosamente come macchietta un capopopolo che ha colpito al cuore la democrazia americana. Confida un amico, tra rassegnazione e comprensione, che la deriva è effetto di un gravissimo trauma, esattamente il suicidio del papà tradito dalla mamma: fosse così, a parità di allerta di fronte a comportamenti sovversivi, saremmo di fronte a una fragilità meritevole di cura e premura, ma non ci sono conferme e comunque tanti sodali senza traumi appaiono vulnerabili e poco lucidi lo stesso. Perché è vero che tutte le idee meritano rispetto, ma se non c’è un limite alla credulità deve esserci alla sopportazione e l’amico Jake confida orgoglioso di essere un soldato di QAnon, summa di teorie complottiste palesemente grottesche eppure condivise da numerosi adepti: la sintesi è che grandi politici e uomini d’affari statunitensi, indicati con nome e cognome, appartengono a una setta di pedofili dediti a svolgere le turpi pratiche nel sottoscala di una pizzeria e coperti da uno Stato nello Stato di cui Trump è unico nemico, perseguitato per aver scardinato un nuovo ordine planetario colluso con reti di stupratori e satanisti.
Solo a rifletterci, s’affaccia la tentazione di ridurre Jake a figura stravagante, ma tutti gli invasori del Congresso, in fondo, agitano l’identico dubbio: rivoltosi violenti o povere comparse imbevute di luoghi comuni e mandate allo sbaraglio? D’altronde, tra “mise” pittoresche e razziatori della domenica, si nasconde pur sempre chi nel distretto ministeriale ha parcheggiato un camion zeppo di armi e munizioni e ha sobillato un’azione costata sangue e dolore.
Onestamente difficile, a sentir chi lo conosce, ritenere Jake pericoloso: la sensazione è che abbia pagato l’eccentrismo perché alla fine è rimasto impresso, e ha fatto il giro del mondo, per quello. Un contrappasso, perché lui che amava essere notato e mettersi in posa, è stato trasformato dalla visibilità in simbolo negativo. E perché lui, complottista esagerato, complice una banale foto con un giornalista vicino alla speaker della Camera, è finito al centro di sospetti di complotto: c’è chi lo immagina infiltrato degli antitrumpiani per screditare il vecchio presidente. Chissà se in cella ci riflette o se l’unica preoccupazione è il cibo. Il problema è che non è biologico, e Jake mangia solo quello.