A Marene si ritrova un pezzo di India

Singh Arshdeep racconta la vita (e l’integrazione) di 400 famiglie di religione sikh che vivono nel Cuneese

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Si chiamano “sikh”, che significa “discepoli”. Sono i devoti del Sri Guru Granth Sahib ji, le sacre scritture lasciate dai dieci guru che si sono succeduti dal 1469 al 1708. Pregano il Creatore onnipotente che è raggiungibile grazie alla preghiera e all’aiuto di una guida, il guru. Vivono principalmente nel Punjab, una regione dell’India nord-occidentale, ma una co­munità particolarmente fervente ha scelto da tempo come dimora il Cuneese dove si è sviluppata tanto da avere anche un luogo sacro, nel comune di Marene, dedicato alle funzioni religiose in cui ogni fine settimana i discepoli si riuniscono per pregare e stare insieme.
Singh Arshdeep, di Caraglio, due figlie e un lavoro alla Michelin di Cuneo, ha una bella voce squillante, un italiano più che perfetto ed è particolarmente felice di raccontarci la sua esperienza.

«La nostra comunità della provincia di Cuneo conta circa quattrocento famiglie che si sono stabilite qui anni fa per lavorare nelle aziende agricole della zona. Ogni domenica ci ritroviamo al tempio per ascoltare le letture, cantare insieme e condividere il pasto in una funzione allargata che dura ol­tre due ore. Siamo una comunità unita ed estremamente accogliente, aperta alle persone di ogni credo. Nel tempio chiunque può trovare da bere, da mangiare e da dormire, 24 ore su 24. Gratis, naturalmente».

A parte la consultazione del vostro testo sacro, che altro serve per essere perfetti nell’osservanza?

«I battezzati tentano di seguire con costanza tutte le regole in­dicate per progredire nell’evoluzione della persona. Si do­vrebbe pregare per due ore e mezza al giorno, a orari flessibili, in base alla propria giornata. Bisogna poi seguire i precetti dei cinque Ks, dati a tutti i battezzati, ovvero degli oggetti che simboleggiano particolari concetti. Sono il Kara, un bracciale di acciaio che indossiamo sempre. Il Kaccha, un particolare indumento di cotone. Il Kirpan, un pugnale simbolico con cui difendere noi stessi. Il Kesh ovvero la nostra usanza di non tagliarsi mai né capelli né barba e il tenerli sempre raccolti e coperti da un turbante. L’ultima, Kangha, ovvero il pettine di legno con cui raccoglierlo».

Perché questa attenzione per i capelli?

«I capelli sono un dono di Dio, non bisogna rischiare di sporcarli. Si devono tenere sempre raccolti, anche in casa. Spesso veniamo confusi con i musulmani mentre noi, a differenza loro, non abbiamo nessun obbligo di coprire il viso, solo i capelli per noi sono sacri».

Come la religione sikh influenza la vostra vita sociale?
«Evitiamo l’alcol, tabacco e la carne animale. Siamo vegetariani ma non vegani. Tutti gli uomini inseriscono nel loro nome il termine Singh (leone) e tutte le donne Kaur (principesse). Siccome in India il cognome indica la casta, il fatto che il nostro sia uguale per tutti di fatto elimina il concetto stesso di casta e disuguaglianza. È possibile anche il matrimonio con persone di altre religioni, a patto che si convertano. Solo se si commettono peccati gravi contro la religione, si viene allontananti ed è proibito mettere piede in tutti i templi del mondo».

Com’è Dio?
«“Esiste un solo Dio, creatore di tutto, privo di paura e inimicizia, immortale e illuminato” Dio non ha nessuna forma, non ha paura di nessuno e non è contro nessuno. Il nostro Dio ama tutti».

La comunità in cui siete inseriti vi ama?
«Siamo abbastanza integrati. A me non manca niente, sono felice come quando ero in India, anzi forse ora sto addirittura meglio. L’unico aspetto che mi manca è poter partecipare alle cerimonie religiose quotidianamente, nel tempio di Marene si celebra solo nel fine settimana».

Lei è un fedele osservante, quali regole segue?

«Sono battezzato ma ho avuto un tempo in cui mi ero tagliato i capelli. Ora sono tornato a seguire con costanza i precetti. Mia mamma prega mattina e sera, è lei che ha insegnato alle mie bambine di sei e sette anni a farlo. Si mettono sedute, a gambe incrociate, con capelli coperti. Il vero fedele segue tre precetti: lavorare con onestà, con le proprie mani e non rubare a nessuno. Pregare sempre e ricordare che un Dio ti protegge. E condividere con i poveri».

Dopo una vita di preghiera, com’è il paradiso che si raggiunge?
«Restare sempre vicini a Dio, felici. Noi crediamo che la nostra anima entri in una vita umana dopo ottantaquattro milioni di vite diverse, per lavarsi totalmente dai peccati e non rinascere più. Se questo accade, si accede finalmente a questo luogo eterno, senza nascita e senza morte».

Queste regole sono comunicate anche grazie ai social?
«Sì, c’è un canale Youtube dedicato alle cerimonie del tempio d’oro, il nostro luogo sacro, in India».