Le fedi ritrovate

Una carretta del mare alla deriva, uno zainetto, due anelli nascosti: non è l’ennesima testimonianza di morti tragiche e silenziose; è una storia d’amore che non naufraga ma non ha lieto fine

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Un maglione slabbrato. Un documento stinto. Una foto sbiadita. Una vecchia sacca. Una piccola croce rugginosa. Un libriccino deformato dall’acqua. Oggetti allineati ordinatamente su un tavolo, non ricacciati dentro un cassonetto alla rinfusa, non rifiuti da smaltire ma povere memorie da tramandare, sperando diventino tracce di vite inghiottite dal mare, possano dare un nome a disperati mai giunti a una riva, perduti tra le onde violente che separavano il dolore dal sogno, fors’anche da un nuovo inferno non più fatto di fame e di guerre, ma d’emarginazione e di solitudine e tuttavia agognato perché una minuscola speranza di vivere meglio la offriva, se non per sé per i bambini stretti al petto per proteggerli dalla paura e dal freddo, o per i bambini che sarebbero venuti.

Quando a bordo di un barchino vuoto, semiaffondato, alla deriva, soccorritori stanchi, rovistando dentro uno zainetto abbandonato, hanno trovato nascoste due fedi nuziali, il pensiero è corso a una coppia che poteva essere annegata, senza più poter stringere una manina o raccontare una favola a figlioletti lasciati a casa o infagottati nello stesso viaggio o non ancora venuti al mondo: leggevano i nomi incisi, Ahmed e Doudou, e ricacciavano indietro lacrime di commozione e di rabbia, immaginavano un destino atroce, un abbraccio d’addio, un ultimo sguardo pieno di paura o un’ultima promessa sussurrata nel fragore della tempesta. Hanno seguito la prassi, recuperato e fotografato gli oggetti, mandato le immagini nei centri di accoglienza: cercavano qualcuno che potesse aiutare a ricostruire l’ennesima storia di speranze in frantumi, a dare pace a famiglie lontane, a fa conoscere il passato amaro e il futuro mai avuto di due sposi che non avranno croci, al massimo fiori gentili adagiati sull’azzurro e affidati alla corrente. Invece li hanno trovati, erano sopravvissuti, e la storia l’hanno raccontata in prima persona: una storia di privazioni e dolore, di amore, di fuga verso una terra promessa, di una vita chiusa dentro uno zainetto diventato nascondiglio di due fedi per evitare fossero rubate, del piccolo sogno di farle lucidare, un giorno, quando le cose sarebbero andate meglio, del significato di conservarle mentre vendevano tutto per pagare la traversata.

Poi il rumore del mare diventato frastuono, l’acqua che non culla più ma sballotta, il buio che spaventa, lo scafo che balla, gli schizzi gelidi, il freddo dell’acqua. Sbracciavano stremati, Ahmed e Doudou, quando hanno visto le luci dei soccorsi nel nero e hanno sentito mani forti strapparli alla morte, hanno perso conoscenza dentro una coperta termica mentre i denti continuavano a battere e arrivava l’eco di urla strazianti. Mai avrebbero immaginato di ritrovare le loro fedi, le credevano in fondo al mare o finite chissà dove, invece le hanno riconosciute e riavute, e il simbolo d’amore è diventata simbolo di speranza. Non pensiate, però, che il Mediterraneo delle nostre vacanze e delle nostre crociere, del pericoloso varco di chi ha meno fortuna e scappa al destino, abbia scritto, per una volta, una piccola fiaba. Anche questa è una pagina nera e lo hanno raccontato i due stessi ragazzi, che accarezzano e indossano le fedi incrociando sguardi teneri, ma vedono l’uno negli occhi dell’altra la morte non perché li ha lambiti, ma perché ha rubato la vita di chi era a bordo con loro, di chi è caduto in acqua ma non ha visto nessuna luce, non ha sentito nessuna mano forte tirarlo su. Tra le onde che li schiaffeggiavano, hanno visto sparire una bambina di due anni e non potranno mai dimenticarlo. Era la loro bambina. Non l’avevano concepita, Doudou non l’aveva partorita né allattata, Ahmed non l’aveva cullata né presa in braccio, ma era la loro bambina. E anche la nostra bambina, la bambina di chiunque abbia un po’ di cuore.