«Mai temere di porsi grandi obiettivi»

La monregalese Alice Filippi ha diretto il film “Sul più bello”, ben accolto da critica e pubblico

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Marta, una ragazza bruttina, orfana e affetta da una grave malattia ma supportata da un’ironia e un ottimismo fuori dal comune, si mette in testa di farsi dire ti amo dal più ambito della città. Se si aggiungono colori fluo, atmosfera pop e nessuna facile retorica ecco il riassunto del film “Sul più bello”, diretto dalla monregalese Alice Filippi, per settimane in testa al “box office” e accolto con uguale entusiasmo da critica e pubblico. La pellicola, ora in “stand-by” per l’emergenza sanitaria, tornerà nelle sale prima di Natale.

Alice, lei ha lavorato come aiuto, tra gli altri, di Carlo Verdone in diversi film di successo come “Il mio mi­gliore nemico” e “Posti in piedi in Paradiso”. Quali segreti ha car­pito al regista romano e poi u­tilizzato sul set di “Sul più bello”?

«Da Carlo ho imparato moltissimo. Quando è uscito il film l’ho chiamato per ringraziarlo: lui è stato il mio padrino, mi ha veramente tenuta a battesimo. È una persona con un’umanità eccezionale, nella vita come sul lavoro. Ho passato molto tempo a osservare la sua relazione con gli attori e l’aspetto che mi è rimasto più impresso è la sua capacità di creare armonia sul set. Per i “casting” spesso parte cercando le facce giuste per un certo ruolo e così capita che chiami anche amici, parenti o conoscenti ed è in grado di metterli così a proprio agio che loro, anche senza mai aver visto un copione prima, recitano come attori. Tutto quello che ho interiorizzato in questi anni di lavoro con Carlo è stato prezioso perché anche sul set di “Sul più bello” molti ragazzi erano alla prima esperienza».

Marta, la protagonista, è una ragazza che affronta la vita a muso duro e sorriso pieno, senza lasciarsi abbattere dalle situazioni che si trova ad affrontare. Pensa possa essere un insegnamento per tutti, in questa emergenza sanitaria?
«Il film parla della potenza dell’ottimismo in una situazione difficile ed è più che mai attuale: Marta è un po’ tutti noi quando siamo di fronte a una difficoltà. La vita non le ha regalato nulla: non ha una famiglia, non si sente bella, non ha nemmeno la salute e tuttavia vive al meglio e soprattutto non teme di porsi grandi obbiettivi. Forse questo è il segreto. Non aver paura di volare in alto e sognare in grande, nonostante il periodo complesso, può essere la chiave».

Marta è malata. Uno dei rischi dei film in cui il protagonista ha un problema serio di salute è quello di scivolare nel melenso. Lei come ha scongiurato questo pericolo?
«Con l’ironia; Marta è autoironica e affronta la vita con la giusta leggerezza. A tratti appare anche superficiale, ad esempio del ragazzo che vuole conquistare la colpisce soprattutto la bellezza. Ma possiede anche una dote fondamentale: sa imparare dai propri sbagli. Mar­ta in questo è molto umana: si scoraggia e cade ma si rialza. La caduta dei personaggi è interessante, li rende vicini a noi».

Parlare di rialzarsi dopo momenti dolorosi non può non far pensare al suo docufilm “’78-Vai piano ma vinci”, in cui lei ricostruisce la fuga di suo padre, Pier Felice Filippi, che ventitreenne e allora campione di rally, venne rapito e tenuto in ostaggio per 76 giorni dalla ’ndrangheta.
«Abbiamo trattato la sua fuga, il modo in cui mio padre è riuscito a scappare mantenendo la lucidità, senza farsi travolgere dal dolore o dalla paura. Lì ho trovato il filo che lega tutti i miei progetti: la ricerca di una via di uscita passa attraverso la ricerca di un obiettivo non banale. In questo caso mio padre non puntava soltanto a salvarsi la vita, ma anche a fare arrestare i suoi rapitori. È stato un lavoro introspettivo e di ricerca, dentro a un vecchio inginocchiatoio abbiamo anche ritrovato le cassette contenenti gli audio delle telefonate di mio nonno con i rapitori. È stato commovente leggere, sulla busta che le teneva insieme, il titolo scritto da lui: “dolore di un padre”. Sono felice di aver vissuto questa esperienza dopo essere diventata mamma, mi sono immedesimata nel dolore cieco di un genitore a cui scompare all’improvviso un figlio. Ho potuto così riscoprire mio padre, vulnerabile ma anche fortissimo, capace di trovare in sé gli strumenti per sopravvivere. Sono felice che i suoi nipoti abbiano a disposizione questo documento per conoscere la forza del nonno».

È vissuta a Mondovì, c’è qualcosa della sua città che porta nei suoi film?
«Sicuramente l’attaccamento alla tua terra, alla tua famiglia e agli amici. Nei paesi si fa un percorso tutti insieme, dall’asilo fino al resto della vita e questi legami stretti li ho proiettati anche nelle solidissime amicizie di Marta. La provincia è concentrazione, io la amo e non mi ci sento stretta».