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«Ho 81 anni e me ne sento sempre cinque»

Nerina Peroni, la saviglianese che ha emozionato tutti a “Tu si que vales”, si racconta a IDEA

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La sua vita degli ultimi me­si si è divisa tra le partite a carte nella casa di riposo in cui vive, le chiacchiere a parlare di ricordi comuni con gli altri ospiti e la partecipazione come pianista al ta­lent “Tu si que vales”. Nerina Peroni, 81 anni portati con gioia, da piccola sperava di diventare santa e di essere così inserita nel calendario. Ora il suo sogno è raccontare, con un’energia contagiosa, quanta vita ci possa essere in una residenza per anziani.

Nerina, ci racconta la sua storia?

«Sono stata accompagnatrice al piano al Conservatorio di To­ri­no, per motivi di salute sono andata in pensione verso i cinquant’anni, poi ho venduto il pianoforte e per vent’anni non ho più suonato. Un giorno dell’anno scorso, un’infermiera della casa di riposo mi ha portato una pianola e mi ha detto “suona per noi”. E ho capito quando la musica poteva ancora rendermi felice».

Che cosa è la musica per lei?
«L’aria. La musica è nata insieme a me. Non ho ricordi di come sia iniziata perché mia madre ha insegnato a me e mia sorella fin da piccolissime. Era diplomata in violino e lei adorava suonare, ma un tempo una donna in orchestra avrebbe destato scandalo, così si sposò e trasmise la sua passione alle sue figlie. Mia sorella aveva doti eccezionali e io ho sempre fatto del mio meglio per tentare di raggiungerla e così quando arrivai al conservatorio ero una delle più brave. Ho poi suonato per tutta la vita con grande soddisfazione anche se ho sempre dato la precedenza alla mia famiglia».

I pianisti spesso chiudono gli occhi e ondeggiano con le spalle e il corpo. Che cosa sente mentre suona?

«È qualcosa di molto personale. Noi siamo state abituate a eseguire i brani stando composte. Ma non si può suonare impalati: sia­mo umani e la musica è un discorso che ti porta con sé. Si deve se­guire intimamente per comprenderla, abbandonarsi a lei. Quando ero bambina e suonavo, i brani me li vedevo sempre fi­gurati come una storia. Il “primo arabesque” di Debussy ad esempio, parte molto dolce e io in quel punto mi sono sempre rappresentata Biancaneve che scorreva da­vanti a me come un cartone a­ni­mato, poi la musica diventa più maestosa e allora ecco che compativa il principe…».

Come si descriverebbe?

«Una donna che vive sempre nell’atmosfera del sogno. Ho 81 anni e ne sento sempre cinque. Ho un ricordo di quando ero piccola. Corro incontro a mio non­no e gli dico “Come sono felice!” e lui mi rimprovera brusco: “non si deve dire che si è felici perché ci sono tante persone tristi al mondo”. Questo messaggio non l’ho mai dimenticato ma non riesco a smettere di pensare, da tutta la vita, mi stia per succedere qualcosa di bello».

Ha avuto uno splendido matrimonio durato molti decenni. Co­sa pensa di quello che cantava Ro­berto Benigni “Nell’amor le pa­role non contano, conta la musica”?
«È vero! Parlando d’amore, io mi sono sposata a trentatré anni e ho conosciuto solo mio marito. Ho sempre pensato che l’atto matrimoniale fosse qualcosa da vivere quando non si hanno più parole per dire “ti amo.” Non ero una bella ragazza e non facevo niente per imbellirmi, se piaccio a qualcuno deve amarmi come sono, pensavo. Ero pronta a non sposarmi ma quando ho incontrato mio marito, ho capito subito che ero fatta per lui».

Come si è trovata a suonare a “Tu si que vales”?
«Ero felice e rilassata. Prima di de­cidermi ho pensato “su quel palco ho visto dei giovani che facevano delle acrobazie, non è un programma per vecchi”. In realtà ho trovato grande umanità e mi sono di­vertita, anche se nel rivedermi sem­­bro una polpettina sorridente… Non ho partecipato per vin­ce­re, ma per portare un messaggio di gioia da una casa di riposo, spero possa aiutare anziani soli a pensare che c’è ancora tanto da vivere e da godere. Le cose piccole sono la chiave: la montagna è fatta di sassolini e il mare di minuscole gocce. È ancora una meraviglia la vita».

C’è un consiglio che darebbe ai ragazzi?
«Uno semplicissmo: leggete il Vangelo, è tutto lì».

Quando conta la fede per lei?
«Moltissimo. Ricordo che un giorno dissi a una mia amica “non prego mai, ma prego sempre” per­ché in ogni cosa che faccio di­co grazie al Signore. Quando ero ra­gazza le messe erano in latino e io sono grata a papa Giovanni XXIII che ha permesso di celebrare in italiano. Io avevo già letto tutti i Vangeli da sola e lì ho trovato il senso di tutto. Quando ripenso alla mia vita ora anche i mo­menti negativi sembrano portare a cose preziose».

Quale frase potrebbe riassumere la sua vita?
«Quella tratta dalla leggenda di Faust, che fece un patto con il maligno, e quando Satana gli chiese in che momento avrebbe potuto venire a rubargli l’anima egli rispose: quando dirò all’attimo fuggente “arrestati, sei bello!”. Io ho girato questo concetto in chiave religiosa e ho sempre chiesto al Signore la grazia di chiamarmi quando sarò così felice da non poter desiderare di più. Ecco, se mi chiudesse gli occhi adesso, per portarmi con sé, sarebbe perfetto. Una bellissima sorpresa».