Alto contrasto | Aumenta dimensione carattere | Leggi il testo dell'articolo
Home Articoli Rivista Idea Una bisnonna piemontese per Edith Piaf

Una bisnonna piemontese per Edith Piaf

La celebre stella della canzone francese ha radici che arrivano fino all’alta Langa

0
1082

C’è anche un po’ di Piemonte nel­­­­la co­mplessa biografia di Édi­th Piaf, la mitica voce della canzone francese che spopolò in Eu­ropa e in America tra gli anni ’30 e ’60. Murazzano può infatti fregiarsi di aver dato i natali, nel 1830, alla sua bisnonna, Margherita Bracco, figlia a sua volta di tal Giuseppe Bracco e Caterina Chiappella, nativa del non lontano comune di Margarita. Al­l’epo­ca, il noto pae­se dell’alta Langa con­tava più di duemila abitanti, era sede di un tribunale, aveva una stazione di ben sei reali carabinieri e non aveva ancora legato il suo nome alla celebre “tu­ma”, riconosciuta con effettiva denominazione di origine nel 1982. Né, tantomeno, poteva immaginarsi di entrare di diritto nella storia della grande cantante. E poiché evidentemente la vena artistica scorreva già nel sangue di famiglia, scopriamo che la suddetta Margherita, venditrice ambulante ed artista di strada, sposò un acrobata circense di origine marocchina, che la portò in Francia, dove, a Soissons, nacque Emma Saïd Ben Mohamed, la nonna materna della Piaf. Em­ma, in arte Aïcha, ammaestratrice di pulci, convolò a nozze con Auguste Maillard, direttore di un circo, dando poi alla luce nel 1895, a Livorno, Annette, futura funambola e cantante di cabaret nota come Line Marsa. Questa, dall’unione con il saltimbanco Gassion, ebbe appunto Giovanna Édith nel 1915. Questi i dati essenziali di un albero genealogico difficile da ricostruire soprattutto per il tipo di vita itinerante dei suoi protagonisti, tra gli archivi parrocchiali e dipartimentali di Italia e Francia, ma indiscutibilmente radicato nel­le nostre Langhe. Cre­scendo, il “gracile passerotto” (è questo nell’“argot” parigino il significato del termine “piaf”, il soprannome che la rese nota) non volerà forse mai alla ricerca delle sue origini tra le colline murazzanesi, travolta da un destino colmo di successo ma anche di eventi tragici. Ci penseranno i suoi biografi a ricordarlo e il comune di Muraz­zano a celebrarla con i suoi concerti. La sua breve ma intensa esistenza, una sorta di inno alla vita punteggiato da momenti disperati, è d’altronde un susseguirsi di aneddoti da confermare con cautela. A cominciare dalla nascita, commemorata da una lapide a Parigi nell’attuale quartiere multietnico di Belleville, avvenuta con un parto improvviso, sui gradini di uno stabile, con l’aiuto di un poliziotto e non in ospedale come registrato, per finire con la morte sopraggiunta a Grasse, nel Sud della Fran­cia, ma annunciata a Parigi dopo un pietoso e clandestino trasferimento del cadavere ad opera del giovane secondo marito Théo Sarapo, attento a soddisfare un suo ultimo desiderio. La nonna Emma, la stessa che probabilmente Tou­louse-Lautrec immortala nella sua “Danse mauresque” nel 1895, si prende cura di lei, crescendola con biberon di vino rosso, giudicato più idoneo e protettivo del latte. Le misere condizioni in cui vive suggeriscono al padre, tornato dal fronte, di trasferirla in Normandia dall’altra nonna, tenutaria di una casa di appuntamenti, dove la piccola scoprirà l’affetto familiare e una particolare devozione, che conserverà per tutta la vita, per quella suor Teresa, del vicino paese di Lisieux, che diverrà santa da lì a pochi anni. Trovata la giusta cura per la cheratite che le aveva colpito entrambi gli occhi, a otto anni si esibisce già col padre: sarà Miss Édith, le “phénomène vocal”, dall’ugola di usignolo. A 17 anni si innamora e metterà al mondo una bimba che morirà a due anni per meningite: una ferita impossibile da rimarginare. A 20 anni la “môme”, altro nomignolo sempre allusivo al suo esile aspetto, debutta con l’impresario Deplée, il cui assassinio alimenterà poi spiacevoli malelingue. È l’inizio di un’asce­­sa che dalla radio al “music-hall” porterà soldi e fama internazionale a quella figurina minuta stretta nel suo classico abitino nero.
Con il successo, la sua voce dalle tante sfumature diventa il simbolo di un’epoca: Maurice Chevalier e Mistinguett l’apprezzano, l’Ame­rica l’osanna, Marlene Dietrich l’applaude; diventa una sorte di mecenate verso tanti giovani artisti, lancia cantanti del calibro di Yves Montand e Aznavour.
Compo­ne lei stessa gran parte delle sue canzoni, tra cui la celebre “Vie en rose”, lei che ama sferruzzare a maglia e trova anche il tempo di girare una decina di film.
Fedele al nome assegnatole in memoria di Édith Cavell, infermiera britannica nota alle cronache del tempo perché fucilata dai tedeschi per aver contribuito a salvare la vita di molti soldati aiutandoli a fuggire durante la Prima guerra mondiale, si narra che anche la Piaf si espose in prima persona tra il ’43 e il ’44 riuscendo a fornire documenti falsi a 118 francesi del campo di concentramento di Berlino. I passaporti dei suoi “musicisti” riportavano infatti i volti dei connazionali prigionieri con i quali aveva voluto essere fotografata durante le sue esibizioni.
Variegata e ricca di colpi di sce­na la sfera sentimentale, tra relazioni spesso deludenti nate nell’ambito musicale e passioni travolgenti come quella con il pugile Cedran, morto in un incidente aereo e al quale consacrerà il famoso “Hymne à l’amour”. La salute è messa a dura prova da numerosi e gravi incidenti automobilistici, da un’artrite reumatoide che l’inizia all’uso della morfina, dall’alcol, da un’operazione di ulcera e da una broncopolmonite che la rendono debilitata.
La Piaf ha cantato i cambiamenti del dopoguerra, quando gli artisti iniziavano a privilegiare temi più realisti e meno romantici. Le sue interpretazioni dai toni ruvidi ben si adattavano alla consapevolezza che la vita non è sempre facile, presentando un’immagine di Parigi meno patinata e più attenta alla sofferenza. Tra gli ultimi successi “Non, je ne regrette rien”, che l’icona nazionale dedicherà alla legione straniera allora impegnata nella guerra d’Algeria. Cocteau, suo grande amico, definirà la forza espressiva della sua voce come una grande e travolgente onda di velluto nero. Per lei comporrà l’elogio funebre, prima di morire a sua volta, d’infarto, a distanza di po­che ore. Una vita, quella di Édi­th, tutta improntata al “coup de théâtre”!

Articolo a cura di Ada Corneri

BaNNER
Social media & sharing icons powered by UltimatelySocial