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«Che coraggio i cuneesi durante l’emergenza Covid»

Il direttore dello stabilimento Michelin del capoluogo, Antoine Bois, elogia i collaboratori

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Dal dicembre dello scorso anno lo sta­­­bilimento cu­neese della Mi­chelin, il più grande impianto di fab­bricazione attivo nel no­stro Paese e operativo dal 1963, ha un nuovo direttore: si tratta del francese Antoine Bois, che è subentrato a Mauro Sponza, in carica dal giugno 2016. Il manager transalpino è una delle migliori espressioni del colosso degli pneumatici, in quanto fa parte del gruppo ormai dal 1999, contando per­altro numerose e qualificate e­sperienze in ambito tecnico sui processi di fabbricazione e di “ma­nagement” di produzione, sia in Francia che all’estero.

Direttore Bois, oltre 20 anni della sua vita in Michelin. Cosa rappresenta per lei la multi­nazionale di Biben­dum?
«L’azienda è diventata una seconda famiglia. Michelin rappresenta per me un progetto sociale. È il luogo del valore del lavoro, dell’eccellenza, dell’innovazione e dello spirito di squa­dra. È uno spazio in cui tut­­ti possono e devono progredire. L’impegno dell’azienda per la mobilità sostenibile è una filosofia nella quale mi ritrovo completamente, come individuo e come cittadino. Il re­cente periodo ci ha drammaticamente ricordato in che mi­sura i trasporti siano un bisogno fondamentale della società. È molto gratificante contribuire alla mobilità di oggi e lavorare a quella del domani; una mobilità ri­spettosa dell’ambiente e in linea con le aspirazioni della società».

Qual è la sua prima preoccupazione al mattino, da direttore di una delle maggiori realtà industriali della provincia e dello sta­bilimento di produzione p­neu­matici vettura più grande d’Europa?
«Un pensiero che non mi ab­bandona mai è la sicurezza del­le persone. È mia abitudine di­re ai miei team che la sicurezza è il “respiro” della fabbrica: è più che una priorità, è una condizione per poter operare. Seguo con grande attenzione quan­to ci dicono i nostri clienti e il modo in cui li serviamo.

Ciò che facciamo oggi soddisfa le lo­ro esigenze? Quali conoscenze, quali segnali abbiamo delle loro esigenze future? Siamo pronti a soddisfarli, ad anticipare i loro bisogni, ad andare oltre? Sono informato in tempo reale sui risultati operativi dello stabilimento e, generalmente, non scopro nulla di nuovo quan­do arrivo in fabbrica.

Nei pri­mi mi­nuti della giornata ho una routine molto intensa che riguarda la gestione del mio tempo, a cui presto la massima cura. Per essere flessibile, attento e disponibile nei confronti di tutti, per mantenere un atteggiamento di ascolto durante le giornate più impegnate, devo avere un controllo perfetto del mio tempo».

Chi ha avuto modo di conoscerla in questi mesi dice che tra lei e Cuneo ci sono numerosi punti in comune. Lei pensa di somigliare alla città che la ospita e, se sì, in cosa?
«Una cosa è certa: apprezzo molto il mio nuovo ambiente e mi sono subito sentito a casa a Cuneo. Nella città e nelle persone trovo un’autenticità e una pro­fondità che mi piacciono mol­to. Ammiro davvero il tem­po che gli italiani dedicano alla cul­tura nella loro vita quotidiana. A Cuneo non mi stanco mai del centro città, che si tratti del­la parte medievale, ricca di storia, degli edifici del XIX secolo o delle eleganti facciate Liberty. Qui troviamo tutta l’arte di vi­vere e l’estetica dell’Italia, un mix di raffinatezza e semplicità con una gastronomia incomparabile… Siamo in città, ma con un’apertura sulla campagna e su un ambiente naturale eccezionale. E, allo stesso tempo, il tutto è decisamente moderno e lungimirante: trovo che qui ci sia uno spirito pionieristico».

C’è qualche tratto del suo essere francese che è riuscito a trasmettere ai suoi collaboratori italiani e, al contrario, si è fatto “contagiare” da qualche nostra abitudine?
«A dire la verità non sono “tipicamente francese”… Ciò che cerco di trasmettere ai miei collaboratori è il frutto di un’esperienza personale e professionale molto internazionale.

Inco­rag­gio i miei team a lavorare in modo semplice e metodico. So­no un uomo di disciplina e mi piace trasmetterla. Apprezzo la fiducia e il lavoro di squadra. Credo che i mesi difficili che abbiamo appena vissuto abbiano illustrato il valore delle abitudini di lavoro dei nostri team italiani.

Le persone nello stabilimento di Cuneo sono state un modello di coraggio, responsabilità e adattabilità. Il periodo di “lockdown” non è mai stato ­quel­­lo della lamentela o dello sco­raggiamento, ma quello dell’adattamento pragmatico, del lavoro sostanziale per stabilire le condizioni igieniche che consentono di ripartire in sicurezza. C’è molto da imparare da questa esperienza e sono sicuro che il mio bagaglio personale e professionale sarà arricchito con ciò che ho vissuto qui».

A inizio anno le previsioni per il 2020 di Michelin Cuneo erano buone, poi l’emergenza sanitaria ha sparigliato tut­to, anche le proiezioni di crescita. Quanto tempo è ragionevole pensare che serva per tornare a una crescita? Ritiene che il Covid cambierà per sempre il modo di lavorare, specie in una realtà grande come la sua?
«Non mi azzarderei a fare previsioni: in tutte le analisi che possiamo leggere è il concetto di incertezza che emerge costantemente. Credo, o meglio spe­ro, che la crisi del Covid servirà da acceleratore per la transizione verso una mobilità sostenibile e rispettosa dell’ambiente.

Abbia­mo letto spesso che l’impatto dell’uomo sulla natura è stato uno dei fattori della nostra vulnerabilità all’epidemia. Du­rante il periodo di “lockdown”, abbiamo imparato di nuovo ad apprezzare l’aria più pulita nel­le nostre città. La mobilità di domani, quella che vogliamo servire con i nostri prodotti e servizi, è la mobilità sostenibile.

I veicoli elettrici fanno parte di questo tipo di mobilità e ri­chiedono pneumatici più tecnici. È nell’indole dei team Mi­chelin innovare per una migliore mobilità ed è nel Dna dello stabilimento di Cuneo essere al­l’avanguardia rispetto allo sviluppo di nuovi prodotti.

Ac­com­pagnare e supportare il mon­do dell’“automotive” nella sua transizione verso una mobilità più sostenibile è veramente il cuore della nostra missione».

BaNNER
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