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Alba: si presenta “Michele Ferrero e l’alta Langa”

Il libro realizzato dalla “Uniart” sul rapporto benefico fra l’industriale e il territorio debutterà lunedì 9 dicembre in fondazione “Ferrero”

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Prosegue il conto alla rovescia per l’u­scita del libro “Mi­che­le Ferrero e l’alta Lan­ga-Un uomo, un’azienda, un ter­ritorio, un amore senza fi­ne”, edito dalla “Uniart” di Car­lo Borsalino, che sta suscitando grandissimo interesse.
Le primissime copie del volume di 260 pagine che affianca ai testi, stringati e coinvolgenti, una selezione fotografica di grande pregio, saranno pre­sentate lunedì 9 dicembre, alle 21, nell’auditorium della fon­dazione “Piera, Pietro e Gio­van­ni Ferrero”, ad Alba.
Il libro uscirà nelle versioni i­taliana e inglese.
Il progetto è stato concepito per rinnovare la gratitudine di un intero territorio e della sua gen­te a Michele Ferrero (1925-2015). Lo spunto venne dall’intitolazione al “signor Mi­chele”, avvenuta in contemporanea a un anno dalla scomparsa dell’industriale albese, di un luogo pubblico in ciascuno dei 38 Comuni facenti parte del­l’U­nione montana dell’alta Lan­­­ga. L’opera ri­­percorre lo svi­lup­po di un rapporto strettissimo, si può di­re d’amore ricambiato e non in­ter­rotto dalla morte, fra il ge­niale im­­pren­ditore e un territorio la cui po­polazione deve mol­tissi­mo al Gigante amico, riservando am­pio spazio a o­gnuno dei paesi del­l’U­nione, di cui si evidenziano le attrattive, a cominciare dalle aree, dagli edifici e dalle sale de­dicate al papà della “Nutella”.
Il postulato di partenza è semplice: senza l’azione lungimirante di Michele Fer­re­ro, l’alta Langa, la sua po­po­­lazione e i suoi frutti, in particolare la nocciola, non sa­reb­bero ciò che so­no. E l’attuale be­nessere non sarebbe tale, co­sì come non esisterebbe l’“ap­peal”, o quanto me­no non possiederebbe il vi­gore odierno, che sta inserendo il tu­ri­smo fra le principali fonti di red­dito del­la zona.
Ciò che ha fatto il “signor Mi­chele” ha del miracoloso, perché non solo ha originato
un’a­zienda che gode di una reputazione positiva eccezionale in tutti i continenti, non solo dà da vivere direttamente a decine di migliaia di dipendenti e collaboratori, non solo è un fiore al­l’occhiello del “made in Ita­ly”, ma ha consentito anche di arginare lo spopolamento dell’alta Langa, con conseguenze be­­nè­fiche a ogni livello.
Il progetto dell’intitolazione contemporanea dei luoghi scelti dai 38 Comuni fu lanciato
dal­l’Ente Fiera della nocciola, guidato da Flavio Borgna, e da Carlo Bor­salino, editore di “IDEA”, e fu subito accolto da ciascuno dei paesi dell’alta Langa che scelsero di mettere sotto i riflettori un proprio punto di riferimento fisico, dedicandolo a Mi­chele Ferrero.
A guidare gli amministratori lo­cali, orientatisi su soluzioni mol­to diverse l’una dall’altra, fu una base comune condivisa con la popolazione: lo spirito di riconoscenza e la consapevolezza che, senza la capacità im­prenditoriale del “signor Mi­chele” e senza la sua volontà di investire per il benessere delle persone, il territorio in cui vivono sarebbe del tutto un’altra cosa.
è quanto mette nero su bianco il libro, anche per contribuire a tramandarlo ai posteri.

Da “Il sole-24 ore”: “Il pullmino del signor Michele e il popolo delle colline langarole”

Il 22 febbraio 2015, il giorno successivo alle esequie di Michele Fer­rero, Roberto Napoletano, allora direttore de “Il Sole-24 ore”, firmò questo articolo che in seguito inserì nel libro “Nuovo viaggio in Italia-Con altre tappe tra gli italiani che resistono e la speranza di una specialissima primavera milanese” in cui raccolse i testi della rubrica “Memo­ran­dum” che teneva sul quotidiano di Confindustria.
«Ha avuto una grande intuizione, ha mandato un pullmino tra le colline langarole e ha detto a tutti: continuate a fare l’orto e a coltivare la terra il pomeriggio e nel “week-end”, ma venite qui da me la mattina a fare la cioccolata migliore del mondo». Sono nel Duomo di Alba prima della Messa d’addio a Michele Ferrero, forse il più innovativo e il più schivo tra i capitani di uno specialissimo capitalismo familiare italiano, l’uomo che è riuscito a convincere i tedeschi che la “Nutella” è tedesca e i francesi che la “Nutella” è francese, e ho avuto la fortuna di ritrovarmi a fianco un medico, Francesco Morabito, che guida da un bel po’ l’Azienda sanitaria locale di Alba («Mi sono trasformato in un burocrate, ma resto un medico») e mi spiega, con poche battute, chi era davvero il “signor Mi­chele” e co­me ha fatto a mettere insieme intuito, genio, fabbrica e “welfare”, giovani e anziani, in una “terra grama” popolata da contadini poveri.
«Direttore, lo vede quel Carabiniere, sta lì fermo in piedi a fianco dell’altare da due giorni, non so come fa, veglia sul signor Michele e la sua presenza immobile, soddisfatta, è il tributo più evidente a un uomo che ha liberato il sud del nord dalla “malora” fenogliana. Ha visto in quanti sono fuori nella piazza? Guardi dietro l’altare, sono i sindaci delle Langhe e del Roero e ci sono tutti, mi creda che la “Ferrero” qui entra nelle case e non ti abbandona nemmeno quando vai in pensione perché così voleva il signor Michele. Lui ha costruito la fabbrica per l’uomo in modo pragmatico, e si è preoccupato anche del dopo perché gli anziani della Ferrero devono stare bene, devono avere il “welfare” che meritano, solo così questa terra riuscirà a preservare il suo capitale più importante».
è un fiume in piena il Direttore dell’Asl, Morabito: lui sa o mostra di sapere che senza il signor Michele questo territorio poteva diventare un grande acquitrino, e ha voglia di raccontarti tutto a voce bassa, ma con i fatti e scandendo bene le parole. È come se ti volesse dire che qui l’utopia olivettiana è diventata realtà perché non alimentava un sogno, ma custodiva il desiderio pragmatico di fare incontrare fabbrica e territorio, la genuinità e la qualità dei prodotti della terra e i suoi contadini poveri, la certezza che l’ingegno italiano aveva da dire la sua nel mondo, ma lo avrebbe potuto fare se avesse avuto dietro di sé la forza delle donne e degli uomini delle colline langarole, la ca­pacità di fare innovazione, il senso di rivincita e la determinazione cocciuta che si ha solo quando si parte dallo scalino più basso.
Ascolto, mi colpisce il trasporto che accompagna il racconto, mi rimane im­pressa un’altra frase: «Prima del pullmino di Michele da queste colline il so­gno più ambizioso era quello di andare a lavorare alla Fiat a Torino e, alla fi­ne, tutto qui si sarebbe spento, invece, grazie alla “Ferrero”, Alba è diventata la capitale del mangiar bene, con la sua cioccolata, ma anche i suoi vini, i suoi formaggi, nocciole e tartufo». Mi sembra che esageri un po’, dopo tutto siamo in chiesa, ma le intenzioni sono davvero buone e si sforza di parlare piano, in modo rispettoso del’ambiente.
A un certo punto, si leva una voce molto più forte: «Prima di dare inizio alla santa Messa, vi chiedo di recitare con me il santo Rosario come faceva ogni sera il signor Michele collegandosi, con i suoi mezzi, direttamente con il santuario di Lourdes». La conversazione con il medico volge al termine, pri­ma il Rosario, poi la Messa d’addio a Michele. Il figlio Giovanni non trova una lettera del padre del ’57 che vuole leggere, si emoziona e ci regala, con poche parole improvvisate, il ricordo più bello di un uomo integerrimo e, soprattutto, la forza del rapporto che lo lega a un padre così speciale.
Faccio istintivamente un balzo all’indietro e rivedo con amarezza gli occhi al cielo di Pietro, l’altro figlio di Michele che non c’è più, mentre converso con lui in un’aula della “Luiss” a Roma di capitalismo familiare italiano molti anni fa, e ne risento le parole: «C’è chi sostiene che in Italia ci sia solo il Monte Bianco, penso a quanto sosteneva Cuccia e la sua Mediobanca, ma quando sono ad Alba non vedo il Monte Bianco, bensì delle montagne bellissime. Soprattutto, vedo colline tutto intorno. Devo dire che questo tipo di paesaggio variegato mi piace moltissimo. Non è detto che ci debba essere necessariamente una vetta, ritengo che ci siano tantissime belle realtà che potranno crescere ancora e svilupparsi».
Esco dal Duomo e mi perdo, è uscito il sole che ha aperto uno squarcio nel velo grigio della mattinata.
Mi guardo intorno e mi rendo conto che il medico e Pietro hanno ragione, le donne e gli uomini delle colline langarole mi dicono che la provincia italiana è sana e non ci deluderà.