“ll cartario può ancora scrivere pagine di economia e lavoro in provincia di Cuneo” | Riceviamo e pubblichiamo l’analisi del giornalista Alessandro Zorgniotti che fa riferimento alla chiusura di una linea alla cartiera Burgo

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La questione relativa alla chiusura di una linea alla cartiera Burgo sta accrescendo l’apprensione tra i lavoratori che temono una nuova ricaduta del settore industriale della nostra provincia.

 

Riceviamo e pubblichiamo una lettera a firma di Alessandro Zorgniotti che cerca di far luce sull’argomento.

 

Gentile Direttore,

 

colgo l’occasione della gentile ospitalità sulle pagine del vostro giornale al fine di soffermarmi, per quanto possibile con approccio prospettico, sulla drammatica vicenda del settore cartario nella provincia di Cuneo.

 

Doverosa è una premessa. Non è la prima volta che la Granda si trova, purtroppo, a dover fare fronte a una crisi industriale e occupazionale, effettiva o prospettata, che coinvolge gruppi di una certa dimensione produttiva e occupazionale: è capitato, nel corso degli ultimi dieci anni, con Agc, Michelin Fossano, più recentemente con realtà quali Adv, ma l’elenco sarebbe più lungo. In ognuno di questi casi, alla gestione delle emergenze immediate, lavorative e sociali, hanno fatto seguito condivise e responsabili strategie industriali che hanno permesso di circoscrivere gli effetti critici se non di rilanciare i siti coinvolti.

 

Un dato di fatto appare evidente nelle singole situazioni affrontate: la ricorrenza di fattori problematici di tipo sistemico nelle crisi verificatesi o proclamate. Condivisibile è quindi la recente analisi di Confapi Cuneo, secondo cui il legislatore ha ritenuto, in maniera non corretta,di poter surrogare con incentivi tipo l’industria 4.0 – pure validi e apprezzabili da alcuni punti di vista – l’assenza di una più organica politica industriale, in pratica delegando al sistema delle imprese interventi dove il ruolo pubblico rimane necessario. Come per quanto riguarda la questione energetica, di vitale importanza per molti settori manifatturieri dal ciclo produttivo obiettivamente “energy-intensive” o energivoro.

 

Qualche numero complessivo sul cartario in Italia. Il settore occupa oltre 200.000 lavoratori diretti e altri 500.000 nell’indotto, con un fatturato che supera i 30 miliardi e un saldo positivo fra esportazioni e importazioni, nonostante colossi insidiosi come la Cina.

 

I dati sono aggiornati a maggio 2016 e sono scaturiti da un convegno promosso dalle sigle di categoria della Cgil. Da dove è emerso che la componente della bolletta dell’energia rappresenta addirittura tra un quinto e un quarto del totale dei costi di produzione sopportati dal settore. Troppo anche nella ipotesi del massimo dell’efficienza e della produttività conseguite o conseguibili.

 

Che fare dunque? Un tavolo è sì importante, ma a condizione che alla gestione degli ammortizzatori sociali, indispensabili anche se ridotti dal Jobs Act, abbini una politica industriale legata a filo doppio al capitolo delle fonti energetiche e a quello delle materie prime: queste hanno nei piani di differenziata e di riciclo un passaggio importante per un settore in grado di autoalimentarsi sul proprio territorio di insediamento generando qualità, sostenibilità e continuità produttiva e occupazionale. Tre addendi che possono finanziarsi da parte di quel 21 per cento di costi produttivi totali fagocitati dalla bolletta. Per questo il tavolo di crisi è un primo passo, ma questo deve essere abbastanza lungo da comprendere il rilancio. Carta canta.

 

Alessandro Zorgniotti
Giornalista