Esteri: L’assalto al giornale satirico Charlie Hebdo e perché siamo tutti #Charlie

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Un attacco al cuore dell’Europa e alla libertà di stampa che non deve indurre in facili interpretazioni

Giovedì 8 gennaio 2015 – 10.30

La rivolta dei non integrati. Questo potrebbe essere il sottotitolo alla tragedia che ieri ha sconvolto il cuore pulsante dell’Europa, della libertà di stampa e di un certo modo di intendere la democrazia in parole, ovvero la satira. Un piano ben congegnato per eliminare un’intera redazione, un commando armato che ha mietuto 12 vittime e cinque feriti gravi (attualmente fuori pericolo), per eliminare le loro idee – che sono le nostre – il diritto a fare satira, la libertà di parola e di espressione.

 

 

Un compromesso che il mondo occidentale ha da sempre avuto col suo stesso modo di essere e di concepirsi è quello appunto di far convivere un fatto e la critica al fatto stesso, critica anche pesante. Da questa idea che possono esserci contestazioni anche forti sull’operato di capi di Stato, di uomini politici, di cittadini o di vip è nata la satira, oltre alla lunga tradizione storica e culturale che la porta ad essere un genere narrativo nato tra i primi. Il giornale satirico Charlie Hebdo ha sempre fatto satira, di quella dura, fatta bene, contro tutto e tutti, anche l’Islam.

 

Per questa ragione era finito nel mirino dei fondamentalisti anche in passato, per questa ragione ora che i combattenti sono ben addestrati, dopo aver covato odio nei confronti di chi non ha mai veramente messo in atto delle politiche di integrazione, al di là di quelle meramente immigratorie, o come nel caso della Francia, colonialistiche, hanno prima abbracciato l’idea di uno Stato islamico, che ora esiste ed è una realtà, e ora tornano nelle case d’origine a mettere in atto ciò che hanno imparato. E’ il cuore dell’Europa a subire una strage, ma non dimentichiamo che ieri un attacco c’è stato anche ad Instabul e così nello Yemen.

 

La scuola dell’odio è stata costruita ogni giorno in quel mondo di rifiuti e di pregiudizi dove gli immigrati di seconda generazione sono costretti a vivere, soprattutto in interi quartieri nati e sviluppati come ghetti, dove hanno pur provato a integrarsi con ogni mezzo, ma non ci sono riusciti, perché nessuno li ha mai davvero considerati francesi o inglesi – in Italia il fenomeno è diverso e recente e non ha basi colonialiste alle spalle – e così l’Islam, quello radicale, quello delle scuole dell’odio, quello dei fondamentalisti, trova il suo esercito.

 

Un piano ben congegnato per riprendersi, nelle loro vite disagiate, quel poco di credibilità doveva essere portato nel cuore di un giornale satirico, forma così lontana dalla serietà con cui questi nuovi combattenti prendono il loro jihad, e nel cuore di quell’Europa e di quella città che li ha rifiutati: Parigi. E come Parigi ogni città simbolo di una cultura democratica che non fa per loro, perché in essa non sono riusciti ad emergere.

 

Il piano era di distruggere un’intera redazione e di spazzare via l’idea che far satira sia una cosa normale, democraticamente accettata e condivisibile, che fare legittimamente informazione può anche passare per toni polemici e satirici e prendere di mira religioni e credi. I terroristi avevano già le foto segnaletiche dell’intera redazione per evitare di sbagliare, ma non hanno nemmeno disdegnato l’uccisione di poliziotti all’esterno, e tra questi c’era anche un islamico, Amhed, che nel nome della sua Francia ha dato la vita.

 

Il rischio, fomentato dall’azione di questo atto e di altri, è quello di liberarcene in maniera sbrigativa etichettandola come una guerra tra religioni, ma non è questo. E l’urlo di dolore e di condanna levato dal mondo islamico moderato, se ce ne fosse bisogno, lo dimostra.

 

L’Is o Isis è un fenomeno molto complesso, nei vertici, che a differenza di Al Qaeda, che lottava per eliminare contaminazioni occidentali nei territori a prevalenza islamica, adesso vuole uno Stato Islamico che possa colonizzare il mondo e ha gettato tra Iraq e Siria le radici per crearlo e che ha trovato ampio consenso tra masse di disperati, affiliati via internet, che trovano nella lotta contro tutto e tutti, nell’essere importanti per qualcuno o qualcosa, nella guerra prima personale e poi culturale, contro la democrazia e la vita che a loro è stata negata, uno scopo.

 

Oggi siamo tutti #Charlie, oggi piangiamo la morte di 12 uomini e donne, di colleghi, amici (il direttore del giornale, 4 famosi vignettisti, due giornalisti, 2 poliziotti e il portiere dello stabile), persone coraggiose che amavano il loro lavoro.

 

Non rendiamo questo atto bieco contro la libertà di parola una guerra di tutti contro tutti, onoriamo i morti e preghiamo per i feriti, ma senza perdere di vista l’analisi reale della situazione e il pericolo che viene dall’Isis (fanatici fondamentalisti molto pericolosi) e non dal mondo islamico, che è ben altra cosa, e che paga spesso il conto di atti drammatici e sanguinosi.

 

 Samantha Viva