«La radio è emozione e non morirà mai come il calcio»

Il radiocronista Rai più amato dai tifosi: «Le partite mi appassionano ancora e la gente lo intuisce. Più gol, più divertimento? No, sono un allegriano di ferro e non amo i troppi errori delle difese. Il gioco è veloce e mi adeguo, ma guai a creare minestroni di suoni»

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Ha creato un’esclamazione che i tifosi hanno adottato come marchio di fabbrica: «La Juventus non muo­re letteralmente mai», no­nostante dietro le quinte sia un accanito tifoso della Roma. Ma il “paradosso” di Francesco Re­pice è semplice da spiegare, basta partire dall’entusiasmo con cui il più celebre dei radiocronisti Rai interpreta il racconto delle partite. Domenica po­meriggio riceverà il premio Ca­stagna d’Oro a Frabosa Sottana assieme al nuotatore Simone Cerasuolo e alla ginnasta Sofia Raffaeli, felice di tornare in Pie­monte: «Conosco bene, soprattutto il tartufo bianco e le altre prelibatezze di cui beneficerò, ovviamente. E poi c’è Cuneo che fa parte della storia della mia famiglia». Ne aveva già parlato a IDEA, un legame decisamente speciale: «Il primo fratello di mio padre, Rocco Repice, era un partigiano della brigata Giustizia e Libertà, fu fucilato proprio a Cuneo. Una lapide lo ricorda. E nella sua Tropea, in Calabria, la piazza della stazione è intitolata a lui».

Anche lei è nato nella bellissima Tropea.
«E il legame rimane stretto».

Che cosa pensa del premio che riceverà domenica?
«Ne vado orgoglioso. Tutti i pre­mi mi lusingano, ma se ar­riva­no da colleghi, hanno un valore maggiore: conoscono ciò che fai e sono in grado di valutarlo. Quindi è ovvio che il premio mi gratifichi molto, è altrettanto ov­vio che il Cuneese per me abbia un significato particolare».

Lei ha anche un riscontro continuo da parte del pubblico, grazie allo stile delle sue radiocronache.
«Mi piace pensare che le persone si emozionino ancora ascoltando le partite di calcio. Il problema è che mi emoziono io per primo, per cui è facile che magari questa cosa emerga, no? L’emozione veicolata attraverso le mie parole, la vivo io per primo. Alla fine, credo che il pubblico apprezzi le emozioni se vengono espresse in maniera appropriata. Senza esasperazioni, non nel tono, ma nel giudizio estetico del gioco».

Così come l’autenticità?
«Le emozioni le sento davvero in prima persona, soffro e partecipo. E credo che questa cosa si percepisca».

Ha rispolverato il famoso «la Juventus non muore mai» per le ultime prestazioni dei bianconeri.
«È una caratteristica di quel club, fa parte della storia e del Dna. Credo che sia giusto esaltare le caratteristiche delle squadre e delle società che vado a raccontare nelle partite, ognuno di questi club ha una particolarità. A Milano c’è una “nobiltà” di Inter e Milan che non va mai sottovalutata. A Torino la celebre classe operaia che va in paradiso con la Juve, oppure c’è l’appartenenza granata che è qualcosa di ancora diverso. Ro­ma e Napoli sono realtà viscerali, quasi inspiegabili, lì non vai a vedere una partita, assisti quasi a una commedia dell’arte. La partecipazione emotiva è tale e tanta che non è spiegabile, se non con degli accenti teatrali. Quindi so benissimo che ogni volta che racconto una partita di calcio, parlo di squadre che hanno stimmate di storia molto profonde».

Le è mai capitato, per questo, di incorrere nell’ira di altri tifosi?
«Certo, ma è giusto che sia così. Però io la vivo in questo modo, è qualcosa di estraneo, ma assolutamente affine a me che mi fa raccontare le partite in questa maniera, non c’è niente da fa­re».

Tanto che poi, questa esperienza l’ha portata anche a teatro?
«Esatto, ma attraverso le voci di chi mi ha preceduto, da Ciotti ad Ameri. Voci più autorevoli della mia che hanno raccontato vicende epiche, trionfi oppure tragedie. Li ho ascoltati molto, non so se sono riuscito a prendere qualcosa di buono, sicuramente però ho capito che la ra­dio è una specie di transfer di emozioni che si manifestano attraverso la voce e i suoni. Il senso della radio è questo».

Si dice sempre che il mondo è cambiato tanto, così come il calcio. Raccontarlo adesso ri­spetto agli anni di quei cronisti che cosa significa?
«C’è molta più competizione, tutti sanno tutto, quindi devi essere molto preciso e scrupoloso nello scegliere le parole».

E il fatto che, dal punto di vista tecnico, il gioco sia molto più rapido?
«Devi accelerare anche tu il racconto, però cercando di essere comprensibile. Altrimenti si crea un minestrone di suoni».

Le piace raccontare le partite con tanti gol, come è capitato ultimamente?
«No, io sono un allegriano di ferro. Per me le partite che finiscono 4-4 sono partite di biliardino, non di pallone. Se ci sono stati troppi errori, non mi piace. Nel pallone cerco l’equilibrio e apprezzo gli allenatori che lo insegnano. Nel calcio giovanile si imparano tecnica e tattica individuali, più che vincere conta imparare attraverso gli er­rori. Il 4-4 è intollerabile a livello professionistico, non confondiamo il biliardino col pallone».

Vale anche per l’ultima uscita della Nazionale?
«Sì e le garantisco che non è piaciuta affatto a Rino Gattuso».

Qual è la partita che vorrebbe raccontare?
«Una finale di Coppa Cam­pioni con la Roma in campo».

Come le sembra la squadra di Gasperini?
«Il vostro corregionale di Gru­gliasco ha dato una bella im­pronta alla squadra e ha dimostrato di essere intelligente. Non è che per i principi di gioco si va allo sbaraglio e si perdono le partite: si prende atto delle caratteristiche che hanno i calciatori e ci si comporta di conseguenza. Ad esempio, quello che sta facendo Massimiliano Al­legri col Milan, è diverso da quando alla Juventus vinceva di “cortomuso”. Essendo Alle­gri un grande allenatore e avendo ora calciatori che possono garantirgli quel modo di stare in campo, arriva così alla vittoria. Poi ci sono i filosofi. In questo periodo, per esempio, vanno di moda gli allenatori che più perdono e più sono bravi…».

So che lei apprezza i giocatori speciali, da Totti in avanti.
«Il gioco non lo fanno le tattiche con gli allenatori, lo fanno i gesti tecnici dei campioni».

Oggi in giro ci sono meno ta­lenti?
«Ci sono talenti diversi. Ma ho avuto la fortuna di raccontare calciatori come Ronaldo il fenomeno, come Zidane, Totti, Del Piero. Ho visto giocare Diego Armando Maradona. In questo momento i livelli raggiunti da gente come Paolo Maldini, An­drea Pirlo o Gigi Buffon non sono replicabili».

E per quanto riguarda i radiocronisti? Che cosa è cambiato?
«Che per andare più rapidi bisogna essere più vicini alla questione tecnica, bisogna non an­noiare ed essere competitivi con le piattaforme televisive. Vedo che riusciamo ad avere sempre un pubblico molto affezionato. Non tutti possono permettersi un abbonamento. Cre­devamo che le nuove tecnologie avrebbero affossato la radio, è successo il contrario. Anche la radio non morirà mai».

A parte il calcio, che cosa l’appassiona?
«Sono di Tropea, quindi sono un pescatore e amo la pesca».