Il ritorno di Kimmel

Sospeso su pressioni Trumpiane, il conduttore- comico americano è tornato presto in tv con audience moltiplicata. Un boomerang politico, una riflessione sulla satira, ma soprattutto una ribellione alla censura

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Jimmy Kimmel scherza su tutto. Anche sul terremoto. D’altronde la grandezza della satira è strappare sorrisi senza confini, e la battuta, se non inquinata da cattivo gusto o mancanza di rispetto, diventa perdonabile pur planando su fenomeni che recano morte, dolore e distruzione. Quando ottenne la cittadinanza italiana, il comico e conduttore americano raccontò che i suoi avi lasciarono Ischia nel 1883, fuggendo dal sisma di Casamicciola, e ironizzò sulla scelta di migrare a Los Angeles: «Città che convive con i terremoti: certo non si può dire che facciamo tesoro degli insegnamenti della vita». Abituato a stilettare senza offendere, a scernere sensibilità e sarcasmo, aveva anche commentato l’uccisione di Charlie Kirk raccontando come «la banda Maga avesse disperatamente cercato di descrivere questo ragazzo che l’ha ucciso come tutto fuorché uno di loro, e facendo di tutto per ricavarne punti politici». E poiché Maga, a beneficio di chi immagina una prestigiatrice, è abbreviazione di Make America Great Again, slogan politico reso popolare da Donald Trump nelle sue campagne elettorali, ecco che il presidente ha abbattuto subito la scure. Ché lui, ormai si sa, è un po’ come i Santi del proverbio – scherza coi fanti ma non toccare loro – e così, in barba al diritto di satira, colleziona, bazzicando i talk show, teste di conduttori che liberamente lo contestano miscelando spettacolo, satira e cultura. In piena estate era stato cancellato dalla Cbs il “Late Show” di Stephen Colbert, poi è arrivata la Disney a sospendere a tempo indeterminato il “Jimmy Kimmel Live!” in onda sulla Abc. Dietro la scelta, le critiche di Brendan Carr, fedelissimo d Trump e presidente della Fcc, ente governativo statunitense che regola le comunicazioni, secondo cui le frasi di Kimmel rientravano in uno «uno sforzo concertato per mentire al popolo americano», aggiungendo che l’agenzia «avrebbe posto rimedio» e lasciando intendere revoche di licenze. L’emittente s’era immediatamente adeguata, ma la sospensione è durata poi pochi giorni, così, mente Trump manifestava sconcerto e annunciava che qualcuno ne avrebbe risposto, Kimmel tornava in tv con toni emozionati che mai s’erano sentiti, spiegando di non aver voluto in nessun momento, neanche lontanamente, «prendere alla leggera l’omicidio di un giovane». Ad accoglierlo la standing ovation del pubblico e un seguito di audience senza precedenti, prova d’un boomerang per il governo americano che voleva tappargli la bocca e ha provocato, invece, un’eco vastissima. Personaggi del mondo dello spettacolo avevano espresso solidarietà a Kimmel e molti spettatori s’erano opposti alla decisione disdicendo gli abbonamenti alle piattaforme di streaming. «Trump ha fatto del suo meglio per cancellarmi e invece ha costretto milioni di persone a guardare questo programma», il commento del riabilitato, mentre infuria ancora giustamente il dibattito sui confini tra libertà e satira, ma anche quello, ancor più giusto, sull’inammissibilità della censura. Non un timore vago, ma per molti un rischio grosso, ché Trump, a ben vedere, dopo essersi scagliato contro Jimmy Kimmel, Stephen Colbert e pure contro il cartoon South Park, se l’è presa addirittura con il famosissimo Letterman, definito «un perdente», e lo showman, preoccupato, non le ha mandate a dire: «Andiamo verso il controllo dei media».