Elsa ha un piccolo orto dietro casa sua. Ha iniziato a coltivarlo dopo la sua esperienza al governo. «L’orto è anche delusione. Ma poi, se hai pazienza, qualcosa arriva». Non parla solo di broccoli ed insalata. Parla di scelte, di tempo, di fatica. A tredici anni dalla riforma delle pensioni che porta il suo nome, Elsa Fornero, la ministra del governo Monti riflette su ciò che ha seminato nel 2012 e su ciò che, lentamente, ha cominciato a germogliare. «Avevo bisogno di qualcosa di manuale, a contatto con la natura. L’orto è un grande emblema della vita: c’è il seme, la piantina che cresce, magari con difficoltà. La devi accudire, bagnare, proteggere. Quando mangi le cose che hai appena raccolto, non c’è ristorante stellato che tenga». Ma l’orto è anche metafora di politica. Di scelte che non danno frutti subito.
Tra insulti e tensioni
Tredici anni fa, nel dicembre 2011, Elsa Fornero pronunciava in diretta televisiva una frase che sarebbe rimasta scolpita nella memoria collettiva: «Non ce lo possiamo permettere». Era il tempo del governo tecnico di Mario Monti, della crisi dello spread, dell’Europa che chiedeva rigore. La riforma delle pensioni entrò in vigore nel 2012, tra lacrime, insulti e tensioni sociali. «Mi odiavano. Ora mi capiscono», dice con una calma che non è rassegnazione, ma consapevolezza. Oggi, nel 2025, quella riforma è ancora lì. E Fornero è pronta a parlarne. Senza difese. Senza slogan. «La riforma ha contenuto la spesa. So che può sembrare un risultato freddo, quasi ingiusto. Ma mettere a posto i conti non è mai considerato un obiettivo dalla popolazione. La gente guarda alle proprie possibilità economiche, al desiderio di andare in pensione. Non pensa che dietro ci sia un contratto sociale».
«Un patto tra generazioni»
Per Fornero, quel contratto è il cuore del sistema pensionistico. «È un patto implicito tra generazioni. Mettere a posto i conti vuol dire magari togliere qualcosa ai genitori e ai nonni, per restituire possibilità ai figli e ai nipoti. È una questione di equità intergenerazionale». Nel 2012, quel discorso sembrava inascoltato. «Era rifiutato, strumentalizzato da certi partiti. Ma poco a poco le persone hanno capito. Gli italiani hanno maturato un atteggiamento più consapevole. Molto più dei francesi, che non accettano nemmeno un lieve aumento dell’età pensionabile». E poi ci sono le telefonate, le lettere, le frasi che restano. «Oggi molte persone mi dicono: “Io l’ho odiata, ma poi ho capito. Ho capito che quel sistema non andava bene e avrebbe prodotto risultati molto negativi, soprattutto per i giovani”».
«Il sistema regge, ma non basta»
Fornero non si nasconde dietro i numeri. «Il sistema regge. Il governo attuale ha avuto un atteggiamento prudente. Non ha rinnegato la riforma, anche se qualcuno diceva “aboliremo la legge Fornero”. Oggi non ne parla più. Sa bene che se i conti hanno tenuto, è anche grazie a quella riforma». Ma il percorso non è finito. «Non possiamo pensare che, siccome siamo fuori dall’emergenza finanziaria, possiamo fare quello che ci pare. Abbiamo nuove esigenze di spesa, come la difesa, e molti problemi strutturali che pesano sulle nuove generazioni: impieghi instabili, salari bassi, povertà concentrata tra i ragazzi. Ci sono sogni sociali ancora insoddisfatti: innovazione, istruzione, sviluppo scientifico, sanità. Dobbiamo investire in crescita, conoscenza, prospettive professionali stabili. È fondamentale per sostenere le pensioni e non mettere in difficoltà le generazioni future». E aggiunge: «La credibilità che l’Italia ha guadagnato non è merito solo di questo governo, ma anche dei sacrifici fatti dagli italiani negli anni. Un percorso che si è voluto liquidare con superficialità come “austerità”, ma che ha significato ribilanciamento e responsabilità».
«Il vero rischio è la demografia»
Alla domanda su quale sia oggi il rischio più grande per il sistema pensionistico, Fornero risponde senza esitazioni: «La demografia. Il nostro sistema si basa su un contratto tra generazioni: i giovani lavorano e pagano contributi che finanziano le pensioni degli anziani. Ma se il numero dei giovani diminuisce rispetto agli anziani, il peso sulle nuove generazioni aumenta». E il mondo del lavoro non aiuta. Oggi i giovani hanno contratti più precari e carriere frammentate. «La correzione di questo squilibrio non si fa nel sistema previdenziale, si fa nel mondo del lavoro. Solo il 63% delle persone in età lavorativa ha un impiego formale. E anche tra questi, molti hanno contratti a tempo parziale, determinato, collaborazioni». «Se una persona vive una vita modesta da lavoratore, difficilmente potrà avere una pensione ricca. A meno che non gliela paghi qualcun altro. Non basta che la politica prometta pensioni alte tra trent’anni. Le pensioni alte ci saranno solo se chi oggi entra nel mondo del lavoro avrà una carriera stabile e ben retribuita. Ma oggi non abbiamo né l’una né l’altra cosa».
«Serve equilibrio. Non si può allentare troppo»
A volte, osservando le mosse del governo, si ha la sensazione di correre cento metri e sentirsi dire che bisogna farne centoventi. Il traguardo si sposta, le regole cambiano, le promesse si moltiplicano. Eppure, la tenuta del sistema pensionistico non può dipendere da rincorse politiche. Fornero è netta: «È difficile che vengano ridotti i requisiti di età e anzianità, perché questo metterebbe in gioco la reputazione di prudenza che il governo vuole conquistare. D’altra parte peggiorare l’hanno già fatto. Oggi l’età pensionabile è stata non solo protratta, ma anche peggiorata. La “quota 103” è peggiore della pensione anticipata prevista dalla nostra riforma. L’opzione donna è stata limitata. L’indicizzazione delle pensioni è stata ridotta». «Rendere più difficile il pensionamento non lo faranno, perché stanno promettendo di allentare. Ma allentare troppo non potranno, per ragioni di bilancio».
Coltivare, aspettare, capire
Elsa non cerca di piacere. Non cerca di essere amata. Cerca di essere capita. E oggi, forse, lo è un po’ di più. «L’orto è fatica, delusione, soddisfazione. È come la politica: se non lo curi, non ti dà nulla. Ma se lo rispetti, ti restituisce molto». Finocchi («difficili da far crescere»), cavoli neri, broccoli, insalata. E una visione del futuro che non ha mai smesso di coltivare. «Mio marito (l’economista Mario Deaglio, ndr) mi sostiene molto. Non ha manualità, ma il suo supporto morale è prezioso».
E anche questo, come l’orto, è una forma di cura.
CHI È
Piemontese di San Carlo Canavese, nelle colline della Vauda. Figlia di un operaio, studia
ragioneria e si laurea a Torino. È un’economista e accademica. Ha insegnato economia politica alla Scuola di Management ed Economia all’Università di Torino. È sposata con
l’economista Mario Deaglio
COSA HA FATTO
Autrice di numerose pubblicazioni in materia economica, è stata ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali nel governo di Mario Monti (2011-2013), nota per la riforma delle pensioni che porta il suo nome. È stata consigliere comunale di Torino con il sindaco Valentino Castellani dal 1993 al 1998
COSA FA
Sarà a Cuneo il 3 ottobre, alle ore 18 presso l’Aula Magna del Vescovado Nuovo, per la rassegna “Il territorio si racconta”. Tema del talk: “Conoscere l’economia per scegliere meglio”, libro scritto con Anna Lo Prete, docente di economia all’Università di Torino. Modera l’incontro, a ingresso libero, il giornalista Marco Zatterin


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