Formarsi nel proprio territorio per continuare a farlo crescere, imparando come portare le Langhe in giro per il mondo. Se a pochi passi da casa hai la fortuna di avere un’accademia di sguardo internazionale, nata dalla visione di Carlin Petrini, la scelta diventa opportunità. Stiamo parlando dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Unisg) che, dal 2004 a oggi, ha formato migliaia di studenti provenienti da tutto il mondo.
Raccontare proprio in questi giorni il percorso di Matilde Rinaldi aiuta a contestualizzare i giorni della grande scelta: ogni anno le “notti prima degli esami” sono rigorosamente insonni per i maturandi. Così è stato anche per Matilde, in quel solstizio d’estate coinciso con la scelta di “tentare” il test a Pollenzo dopo il diploma classico conseguito al Govone di Alba.
«Avevo in mente di fare giurisprudenza, ma…»
Dall’indecisione alla scelta, quando è scoccata la scintilla?
«Ero attirata da Pollenzo senza conoscerla in modo approfondito, mi affascinava innanzitutto il fatto che fosse comunque un’università internazionale, in primis perché amavo l’inglese e avrei potuto studiare in lingua. Avevo attorno persone, amici e famigliari, che mi consigliavano di seguire quelle che erano le mie passioni e l’enogastronomia è sempre stata un mio punto debole».
Da qui il test d’ingresso.
«Posso dire di averlo tentato, è stato selettivo ma ne sono uscita bene: ammessa. Nel frattempo, ho avuto modo di conoscere in modo più approfondito l’università, ciò che offriva a livello didattico e le persone che l’animano. Me ne sono innamorata».
Qual è stato il suo percorso di studi?
«All’Unisg ho conseguito una laurea triennale, poi completata dal master Business School del Sole 24 Ore perché volevo integrare con una parte più formazione più economica».
I viaggi internazionali e gli scambi culturali maturati a Pollenzo sono stati utili nel suo percorso?
«Assolutamente sì. I viaggi sono stati importanti, ma devo dire che ogni singolo giorno trascorso in aula, a pochi passi da casa, conoscevo culture diverse: una fotografia, un pezzo di mondo a domicilio. Un network maturato e radicato con i miei colleghi di corso, grazie alla curiosità, alla voglia di scoprire e di esplorare. Caratteristiche che vanno al di fuori di quello che è il viaggio di per sé».
Varcata la soglia di Pollenzo si apre un nuovo mondo…
«Sì, nasce un confronto continuo con persone dal background diverso dal tuo. Già solo il modo in cui approcci le lezioni o si fanno le domande o i punti di vista, da cui magari, appunto ci sono gli interventi durante le lezioni. Rispetto all’argomento specifico di cui si parla, culturalmente una persona di un altro Paese ha un’ottica diversa dalla tua. La mia aula è stata molto varia, una grande ricchezza: compagni da Cuba, Brasile, Messico, Stati Uniti, Kenya, Sudafrica, Indonesia ed Europa».
Dall’università all’impresa. Edoardo e Matilde Rinaldi (foto a sinistra) rappresentano la quarta generazione dell’azienda che porta il cognome di famiglia, protagonista nel settore agroalimentare con particolare specializzazione nella produzione di olio d’oliva. Una specifica doverosa per spiegare il presente, caratterizzato dal progetto di produrre l’olio delle Langhe, con olive prodotte sulla collina di Santa Rosalia e frante ad Alba, dove vi era la Le Roche.
Come nasce l’idea?
«Dopo alcune mie esperienze lavorative esterne all’azienda di famiglia, lo scorso anno con mio cugino Edoardo abbiamo deciso di sfruttare il centenario dello storico Olio Meriggio, acquisito negli anni ’90 dalla nostra azienda, per puntare a mercati stranieri».
Una novità?
«Sì, l’olio Rinaldi è legato all’Italia, anzi al Nord Italia. Per questo abbiamo puntato su un diverso marchio, nato a Dogliani nel 1924. L’abbiamo studiato grazie alla disponibilità dei vecchi proprietari che hanno dialogato con noi e trasferito alcuni passaggi a noi sconosciuti, come l’avvio di attività nel commercio di bachi da seta. Abbiamo “ringiovanito” un brand che è ancora nel cuore di numerosi consumatori, possiamo dirlo grazie ai primi test sul mercato locale».
La Meriggio produceva a Imperia, voi volete portare gli ulivi in Langa.
«Ripercorriamo la via del sale al contrario, mantenendo saldo il legame con il commercio e la nostra storia. Per questo abbiamo piantato mille ulivi sulle colline di Alba, avviando contestualmente la costruzione di quello che sarà il primo frantoio nelle Langhe. Quando andiamo su mercati esteri raccontiamo una storia che colpisce, caratterizza e valorizza il nostro prodotto e lo accosteremo a un brand oggi famoso in tutto il mondo: le Langhe, appunto».
In realtà questa non è una prima assoluta.
«Abbiamo esplorato un po’ e, in realtà, gli ulivi in Langa sono sempre esistiti, a fortune diverse dipese dai cambiamenti climatici e dalle rotte commerciali. Abbiamo espiantato quattro ettari e mezzo di vigneti con vitigni barbera, dolcetto e nebbiolo in favore di questo progetto».
Tra quanto i primi frutti?
«Entro un paio d’anni il primo raccolto e il contestuale avvio del frantoio. Ci piacerebbe imbottigliare nella caratteristica “Albeisa”, un ulteriore idea che vuole avvicinare vino e olio, due prodotti che ben coesisteranno nel futuro delle nostre colline».
L’evoluzione continua, con radici ben salde nel terreno e stimoli accademici su esso germogliati. La commistione tra culture e la diffusione del sapere caratterizzeranno le prossime sfide di Matilde ed Edoardo, le stesse dei loro coetanei cuneesi. Progettere un futuro made in Langhe.