Scopriamo Luca Abbà, meglio noto come lo “sbrabbatore”. Gira per la Granda con lo smartphone in mano e un’ironia contagiosa. Racconta paesi, accenti e umanità con uno stile tutto suo: veloce, tagliente, ma comunque sempre affettuoso. Nel Quaderno 48 della Fondazione Crc ha riflettuto anche sul ruolo dei giovani, sempre più protagonisti di una cittadinanza attiva che parte proprio dal territorio.
Luca, come sceglie i paesi da raccontare? Segue una mappa segreta o si lascia guidare dall’istinto?
«Vado totalmente a istinto, senza uno schema preciso. All’inizio ho cominciato con i paesi intorno a Fossano, la mia città. Poi, pian piano, mi sono allargato. Con l’aumento dei follower, la gente ha iniziato a scrivermi: «Vieni a Cherasco!», «Passa da noi!», e se lo dice uno, lo dice due, lo dice tre… alla fine ci vado. Mi faccio guidare molto dai feedback di chi mi segue».
“Sbrabbare” è il suo marchio di fabbrica. Ma per lei cos’è davvero? Solo un gesto o anche uno sguardo sul mondo?
«È un mix. Anche a distanza di un anno dalla nascita del termine, non ho una definizione definitiva. Di certo è un modo di guardare la realtà che magari non è così comune. A me viene naturale, perché in fondo quel personaggio sono io. Non recito, non interpreto: sono proprio fatto così. È una fortuna. “Sbrabbare” racchiude il mio modo di vivere posti e situazioni che molti vedono come grigi o pesanti. Io ci sto bene, e quindi riesco anche a riderci su».
C’è un luogo che l’ha colpita così tanto da pensare: “Qui ci resterei volentieri”?
«Sì, Savigliano. È vicino a casa, ma ha un posto speciale nel mio cuore. Ci ho vissuto tre anni, una decina d’anni fa, quando ho aperto un pub con un socio. È stato il mio primo tentativo di mettermi in proprio, un periodo intenso e bellissimo. Mi sono sentito accolto, bene, a mio agio. La chiamo la mia seconda casa».
Nei suoi video riesce a essere ironico senza mai scadere nello stereotipo. Come fa a mantenere questo equilibrio?
«Un po’ è questione di istinto, un po’ di esercizio. Il tipo di ironia che uso nei video è lo stesso che uso nella mia vita quotidiana, quindi viene naturale. Però ci lavoro parecchio: la scrittura dei testi è la parte che mi prende più tempo. Scrivo, riscrivo, limito, aggiusto. Voglio un ritmo incalzante, fruibile, ma anche stare attento a non oltrepassare la linea sottile tra ironia e offesa. Cerco di sfiorare lo stereotipo senza cadere nel banale o nel cinismo».
È diventato un punto di riferimento per chi vuole riscoprire i piccoli luoghi. Ma quando spegne il telefono chi è Luca Abbà?
«Un cuneese Doc. Amo stare sul divano, detesto fare serata a Torino, ma poi magari mi butto in qualcosa di folle per tre giorni. Sono curioso. Prima di lavorare nei bar, ho fatto un anno e mezzo di ingegneria. Poi, davanti a “meccanica delle macchine”, ho capito che non era per me e mi sono iscritto a filosofia. Non ho finito la triennale perché nel frattempo ho iniziato a lavorare e vivere da solo. Questo mix di studi scientifici e umanistici mi ha formato parecchio, mi ha dato una testa che forse altrimenti non avrei».
Nel Quaderno 48 della Fondazione Crc ha parlato dei giovani e del loro rapporto con il territorio. Che impressione ha avuto?
«È un cambiamento in corso. Dopo il mio intervento, ho girato tra i ragazzi presenti e molti mi dicevano: «Non è ancora abbastanza, ma è già qualcosa». Quando avevo vent’anni io, frasi del genere non le avrei mai pronunciate. Mi sentivo in contrasto con gli adulti, punto. Invece oggi i giovani cercano il dialogo, non per forza per essere d’accordo, ma per confrontarsi. È un bel passo avanti. Quello che manca? Spazi. Hanno bisogno di luoghi pensati per loro, dove sentirsi liberi e accogliere gli adulti, e non il contrario».
Ha in mente un’evoluzione per il suo progetto? Un salto fuori dalla provincia, magari?
«È tutto molto fresco, sto ancora cavalcando l’onda. Però sì, ci sto pensando. Non cambierò tutto, ma vorrei provare a portare la mia narrazione fuori dalla provincia di Cuneo, anche se con cautela: la mia ironia funziona qui perché parlo di me. Però sento il bisogno di evolvere. In primavera, per esempio, con due amici abbiamo scritto una canzone. Di idee ce ne sono tante, vedremo».
Ha un aneddoto divertente che si porta nel cuore?
«Uno su tutti: un paio di mesi fa, in un bar dalle parti di Mondovì, una signora, un po’ avanti con l’età, mi ha riconosciuto mentre prendevo un caffè. Si è avvicinata e mi ha chiesto un autografo. Non mi era mai successo! Gliel’ho fatto su uno scontrino. È stato un momento tenerissimo e surreale».