Prima di confrontarsi con Stefano Bono di Nwcleo all’assemblea annuale di Confindustria Cuneo, martedì scorso, Luca Telese aveva già potuto approfondire il tema del nuovo nucleare. «Ho fatto un un’esperienza straordinaria nella sede della Walter Tosto, che sta costruendo in Francia il primo prototipo italiano di un reattore di fusione nucleare. Un progetto pazzesco, mi dicono che sia il più costoso nella storia dell’umanità, 300 milioni di euro l’anno, un progetto che coinvolge Unione europea, Corea e India. Se quando premeranno quel pulsante nel 2040, funzionerà, potrebbe risolvere i problemi dell’umanità».
Senza controindicazioni?
«Non ha inconvenienti dovuti alla fissione, cioè non ha il problema delle scorie. Solo una piccolissima quantità, perché il ciclo è diverso, paradossalmente non divide l’atomo ma lo comprime, per semplificare. E ha anche la fortuna di essere rinnovabile, funziona con una miscela di trizio, gas presente in terra e che quindi in un futuro si potrebbe persino generare. Mi colpisce che, comunque se ne parli, di nucleare di nuova generazione o addirittura nucleare di fusione, c’è la possibilità soprattutto di migliorare la sicurezza».
Non una questione da poco.
«Per anni è stato un po’ il pallino dopo anni di incidenti, addirittura dopo l’epilogo di Fukushima in cui rischiammo una catastrofe naturale non prevista in quelle dimensioni. Mi colpisce che ora noi siamo all’avanguardia. Dopo il referendum, dopo Chernobyl e le ricerche, a cominciare da Ansaldo e tante altre aziende pubbliche, esiste un know-how italiano».
Resta il problema di dove e come eventualmente ripartire.
«Non ho nessun pregiudizio ideologico, né pro né contro. L’Italia è un paese sismico, ci sono avvertenze che bisogna comunque porsi come priorità, dovremmo riuscire a garantire uno standard di sicurezza più ampio che in Francia».
Dal punto di vista culturale siamo pronti?
«Io, per esempio, considero un fatto osceno che ancora esista un’agenzia di smaltimento delle vecchie centrali incapace di compiere il lavoro e che ogni anno rinnova i finanziamenti ma anche le emissioni, senza arrivare al suo obiettivo. Bisognerebbe riuscire ad avviare una nuova stagione con lo spirito dell’ente nucleare degli anni 60 e non con l’insipienza degli anni 80. Montaldo di Castro era un cantiere infinito, due ubicazioni furono sbagliate, quindi ora mi concentrerei su come si costruisce una base».
Come le sembra l’approccio della politica?
«La destra è a favore, pregiudizialmente. E la sinistra è contro, pregiudizialmente. Mi sembrano due approcci sbagliati. Dobbiamo convincere gli italiani che lo faremo in sicurezza, rispettando l’ambiente, che ci porremo il problema di dove mettere le scorie, che non andremo a piazzare gli impianti solo nei posti in cui magari la gente protesta meno».
Il progresso tecnologico sembra prometterci prospettive impensabili. Anche nell’elettrico?
«Vale per tutte le fonti. Per esempio si parla ancora del Vajont, ma non si può fare riferimento a un fatto del secolo scorso come disincentivo per una centrale di energia idroelettrica. Su temi così si deve fare una campagna, non si può far calare tutto dall’alto. Il problema non è solo l’obiezione al nucleare ma a tutto quello che comporta un insediamento industriale, energetico. E questa è una follia. Chi ha detto che non si possono più fare centrali idroelettriche? Nessuno, però non si fanno. E pensiamo a cosa succede se si ubica una centrale nucleare in un qualunque comune italiano senza una preparazione, senza una cultura, senza un racconto di che cosa è cambiato anche rispetto ai sistemi degli anni 80. Ma Chernobyl era un reattore già vecchio allora».
La politica ha una grande responsabilità, perché è in gioco uno scenario epocale.
«Ora nessuno spiega niente. Ci troviamo di fronte a due muli. La politica è divisa fra una sinistra che pregiudizialmente è contro e una destra che pregiudizialmente è a favore. Dovrebbero spiegare dove, come, quando, quanto costerà, quali sono i piani di rientro, qual è il beneficio, qual è la gestione del rischio, dove vanno le scorie nucleari…».
A proposito di politica, ha scritto questo libro su Berlinguer che si intitola “Opposizione”. Che cosa ha voluto raccontare?
«Abbiamo una visione del passato lineare. Andando negli archivi, ho notato una serie incredibile di coincidenze tra il clima, le idee, il dibattito. L’ultima battaglia di Enrico Berlinguer era stata per il referendum sulla scala mobile. Un po’ quello che sta accadendo oggi. C’era una guerra in Palestina, una crisi energetica, una crisi economica, una guerra inflattiva. Come rispondeva Berlinguer alle sfide della modernità? Lui capisce prima di tutti che è finito l’equilibrio di Jalta, va a Mosca al funerale di Andropov e nel 1984 vede già che l’Unione Sovietica non ha futuro, dopo averla combattuta per anni perché non gli piaceva quel modello, cerca delle risposte. Il futuro che Berlinguer vede è il presente: la legge del più forte, la fine del diritto internazionale. Immagina il mondo di oggi, quello delle crisi non regolate. Nella crisi missilistica del ‘62 a Cuba, il mondo rischiò il conflitto ma lo evitò perché sia la Russia sia l’America si fermarono un minuto prima. Oggi avremmo questa intelligenza, con questi pazzi leader twittaroli? Non credo proprio».
C’è una realtà geopolitica più frammentata.
«Senza Jalta, senza un nuovo ordine, vale la legge del forte. Questo è il primo scenario. Il secondo scenario riguarda proprio la figura di Berlinguer, leader che era anche molto moderno. La Malfa era uno statista, Moro un gigante della politica. Però nessuno di loro aveva la sua dimensione di rockstar e il suo carisma silente. Moro è stato interpretato in due film. In uno sembrava pazzo, nell’altro sembrava un santo. Era gente che faceva discutere. Oggi i giornali fanno marketing, non promuovono dibattiti. Questo è molto deprimente».
Ma un personaggio carismatico non manca soprattutto a sinistra?
«Conosco bene la Meloni, sono il primo ad averla intervistata in vita sua. Ha un grande carisma e si è rivelata un’ottima ministra, ma ancora non vedo l’Italia meloniana».
Lei è il direttore de Il Centro, come sta raccontando la promozione del Pescara?
«Quando sono arrivato mi dissero che era il peggior Pescara di sempre. Tanto per dire. Ma trovai Baldini fin da subito un uomo straordinario, gli abbiamo dedicato tano spazio che neanche per Mattarella e meno male che abbiamo avuto questa intuizione, io cerco sempre chi guarda lontano e magari dice cose diverse. Lui allenava i ragazzi con una benda sull’occhio per cambiare per un attimo il loro modo di vedere le cose. Baldini in Nazionale? Lo farebbero saltare alla prima conferenza stampa».
CHI È
È nato a Cagliari nel 1970, quando la squadra rossoblù vince uno storico scudetto a cui poi dedicherà un libro. È stato portavoce di Rifondazione comunista prima di lavorare nella redazione de L’Unità. Attualmente dirige il quotidiano locale Il Centro di Pescara
COSA HA FATTO
Ha partecipato alla crescita del quotidiano Il Fatto prima di abbandonare polemicamente la redazione accusandola di appoggiare totalmente il Movimento 5 Stelle. In seguito si è affermato in tv inizialmente al fianco di David Parenzo in prima serata su la 7
COSA FA
Ha appena scritto “Opposizione – L’ultima battaglia di Enrico Berlinguer”, testo che ripercorre gli ultimi anni dell’avventura umana e politica dell’ex leader del Partito comunista italiano Martedì è stato ospite di Confindustria Cuneo per l’assemblea 2025