Per anni ci ha dato la buonanotte con il suo stile inconfondibile nello studio del Tg3 Linea Notte. Ora Maurizio Mannoni (oggi, alle 18.30, alla Fondazione Mirafiore a Fontanafredda per la prima delle Passeggiate Letterarie) lascia per un attimo le breaking news per raccontarci un’altra verità – questa volta romanzesca – tra i corridoi e i misteri di Saxa Rubra. Il suo primo romanzo “Quella notte a Saxa Rubra” (La Nave di Teseo), è un thriller che sa di realtà, un dietro le quinte del mondo dell’informazione pubblica italiana, dove le luci dello studio non bastano a illuminare tutte le ombre.
Ma cosa succede quando un uomo di notizie decide di scrivere finzione? E quanto c’è di vero dietro quella “notte”? Lo abbiamo chiesto direttamente a lui.
Dopo una lunga carriera nel giornalismo, cosa l’ha spinta a scrivere un romanzo?
«Soprattutto la curiosità di cimentarmi in una cosa nuova. In realtà noi giornalisti televisivi scriviamo molto poco nel corso della carriera. Tant’è che secondo i colleghi della carta stampata non siamo nemmeno capaci… e molte volte è vero. Ed è altrettanto vero che scriviamo sempre di meno, perché più si va avanti con gli anni, più si acquista sicurezza e non c’è più nemmeno bisogno di scrivere le cose che dici in televisione. Quindi si perde l’abitudine alla scrittura. A me invece scrivere è sempre piaciuto, ho sempre avuto questa vocazione. Una volta arrivato alla pensione ho pensato bene di provare a scrivere un romanzo, perché non avevo voglia di fare un saggio».
Perché proprio un thriller ambientato nel cuore della Rai?
«Ho unito due cose: non volevo, appunto, scrivere un saggio. Ma nemmeno un libro di memorie. Però qualcosa ci volevo mettere dentro del periodo alla Rai e al Tg3, soprattutto quello per me più importante. Quindi mi sono inventato una storia di fantasia inserita nella complessa realtà della Rai».
Quanto c’è di reale e quanto di inventato?
«Di reale ci sono tanti personaggi che compaiono, tante figure che si riconoscono benissimo che chiamo solo per nome, che hanno fatto parte della storia del Tg3. Nel romanzo le incontro e mi danno una mano nella ricerca della verità in un caso drammatico che avviene proprio negli studi e negli uffici della Rai. Ci sono anche tanti personaggi anonimi e inventati, ma sono gli esempi tipici di una realtà come la Rai: arrivisti, legati alla politica, che pensano soltanto alla propria carriera».
L’ambiente di Saxa Rubra è spesso descritto come frenetico e competitivo. Quali sono le dinamiche interne che più l’hanno colpita negli anni?
«Non credo sia l’unico ambiente di lavoro ad essere competitivo. Alla Rai – ed è una cosa che tutti conoscono – c’è il fatto di essere legati a doppia mandata alla politica che entra dentro tutte le scelte importanti. E succede anche a livelli più basilari, per cui si incontrano spesso, quasi sempre, personaggi che calibrano le loro mosse a seconda dell’interesse del politico di riferimento. Non tutto è però così. Infatti i miei personaggi principali sono, da questo di vista, puri».
Ha ricevuto reazioni da colleghi o ambienti Rai? Qualcuno si è sentito “chiamato in causa”?
«Alcuni hanno cercato di capire, ma adesso non possiamo svelare la trama del romanzo…».
Non spoileriamo nulla, ma qualcosa si può dire…
«Beh, c’è un personaggio negativo sul quale molti si sono chiesti se fosse un personaggio vero. Ho risposto che quello vero non è. Però tanti si possono riconoscere dentro quel o quell’altro collega che hanno conosciuto nel corso degli anni. E’ un po’ un gioco di scatole cinesi, nel senso che tanti personaggi sono veri, tanti altri sono verosimili, tanti altri sono possibili. Comunque tutti assolutamente riconoscibili nelle diverse tipologie. Io mi diverto e lascio che si arrovellino in questa ricerca».
Il protagonista si muove nei corridoi di Saxa Rubra, un luogo simbolico per l’informazione italiana. Quanto è fedele alla realtà la sua rappresentazione e in che modo ha deciso di caratterizzarlo?
«Ma io penso che sia reale in buona percentuale. Credo che sia così. Saxa Rubra è un luogo di lavoro molto brutto come luogo fisico, dove si agitano diversi personaggi con caratteristiche molto simili. Adesso mi sembra che sia è cambiato molto rispetto ai tempi nei quali il romanzo è incentrato. Non conosco quasi più nessuno, ragazzi giovani che hanno un approccio diverso al lavoro. Farei fatica a calarmi oggi in quella realtà».
Il libro offre anche una critica – sottile, ma incisiva – al mondo della politica e dell’informazione. E’ così? Che riflessione voleva stimolare?
«Non è questo lo scopo del mio libro. Sennò, come ho detto prima, avrei fatto un saggio sui rapporti tra Rai e politica. Non c’era bisogno di un ulteriore libro di questo genere. Il mio è semplicemente un romanzo, una storia d’amore, una storia di rapporti, una storia di giornalismo».
Il protagonista è un giornalista navigato, immerso in giochi di potere e segreti interni. C’è qualcosa di lei in lui?
«Io sostanzialmente sono l’io narrante. E’ vero, però, che nel personaggio di Giovanni c’è anche molto di me e di tanti altri che ho conosciuto. Soprattutto ci ho messo l’ideale di giornalista televisivo, un personaggio che mi è piaciuto inventare con la sua forza, ma anche con le sue debolezze».
Scrivere questo romanzo è stato terapeutico, liberatorio, o semplicemente creativo?
«La seconda che hai detto. Mi sono voluto divertire. Basta. Non ho bisogno, sono arrivato alla fine della carriera anche un po’ stanco».
Dissento. I giornalisti, in fondo non vanno mai in pensione.
«Si, ma io in fin dei conti ci sono andato tranquillamente. Magari avrei ancora continuato un anno o due, se mi avessero dato la possibilità. Ne ho viste e passate tante. Poi sono cambiate tante cose. Non mi ci sentivo più dentro, né avevo voglia di rimettermi in marcia per entrare nelle dinamiche attuali. Che si arrangino…».
Cosa ci aspettiamo da Maurizio Mannoni, dopo questo esordio narrativo?
«Mah, forse un altro romanzo».
C’è già qualcosa in programma?
«Forse c’è ancora Giovanni, ma raccontato dall’inizio della sua avventura giornalistica».
Un prequel quindi?
«Sì, una sorta di racconto sui primi passi in quel mondo. C’è un embrione. Vedremo».
CHIA È
Ligure di La Spezia, quartiere Migliarina, cresciuto in Lunigiana, 68 anni. Giornalista figlio di giornalista, marito di giornalista, tre figli. Dipinge, soprattutto paesaggi che riempiono la sua casa romana. Interista sfegatato, ha una maglia di Ronaldo autografata che conserva come una reliquia
COSA HA FATTO
Ai tempi della riforma Rai del 1975 viene scoperto da Sandro Curzi a Video Uno, la tv del Pci, e diventa giornalista del Tg3 Rai. Fino al 2023 ha condotto Tg3 Linea Notte. Ha curato programmi di informazione ed approfondimento sempre alla Rai: “Ultimo Minuto”, “Primo Piano”, “Un giorno per sempre”
COSA FA
Secondo lui si gode la pensione. E lo dice convinto. Gira l’Italia
per presentare il suo primo romanzo “Quella notte a Saxa Rubra”. Ne starebbe partorendo un secondo. Per il momento continua
a dipingere, cura il giardino e scrive. Cosa non è dato sapere.
Ma nell’intervista qualche indizio lo lascia