«Questo è il primo saluto del Cristo risorto, il buon Pastore. Vorrei che la pace raggiungesse le vostre famiglie, tutti i popoli, tutta la terra. La pace sia con voi. Una pace disarmata e disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti, incondizionatamente». Le prime parole di Robert Francis Prevost, erede di Francesco al soglio petrino, primo Papa americano della storia che ha assunto il nome di Leone XIV, molto raccontano della persona e ne svelano il programma, anche perché non pronunciate a braccio, come gli ultimi predecessori, ma scritte e dunque meditate. La pace, la necessità del dialogo, i ponti da costruire, l’esempio di Francesco, Sant’Agostino, la Chiesa sinodale e missionaria aperta a tutti e soprattutto agli ultimi: parole dirette al cuore dei fedeli e destinate ai potenti della terra, primo fra tutti Donald Trump più volte criticato, specie con riferimento alle politiche dell’immigrazione, e in fondo un messaggio è insito anche nel nome assunto, in omaggio a Leone XIII, Pontefice della Rerum Novarum e della Chiesa sociale. La storica Enciclica affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale e oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale: una nuova sfida per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro.
Nato a Chicago nel 1955 da una famiglia con radici spagnole, francesi e italiane – alcuni antenati migrarono da Settimo Rottaro, in provincia di Torino, e Sanremo –. oltre alla cittadinanza statunitense, Prevost possiede quella del Perù dove a lungo è stato missionario: un’esperienza che lo ha plasmato, permettendogli di fondere il pragmatismo del Nord America con la sensibilità dei latinoamericani. Novizio a ventidue anni, nell’ordine di Sant’Agostino, è stato ordinato sacerdote nel 1982, ha studiato nella sua città e poi a Roma, conseguendo un dottorato in diritto canonico. Ha anche una laurea in matematica. La missione tra Chulucanas e Trujillo è durata dal 1985 al 1998, poi, dopo il rientro negli States come priore della Provincia agostiniana del buon consiglio è tornato in Perù nel 2014, inviato da Papa Francesco come amministratore apostolico di Chiclayo, un anno dopo è diventato vescovo e nel 2023, dopo essere stato richiamato a Roma, cardinale. Molto vicino alla visione di Bergoglio, è tuttavia più riservato e riflessivo.
Il suo motto episcopale – “In Illo Uno Unum”, ovvero “in colui che è uno siamo uno”, racchiude una visione di unità nella diversità e rimanda o alla comunione e alla fraternità dentro la Chiesa universale. «Il vescovo è un pastore vicino al popolo, non un manager» aveva detto in una recente intervista, soffermandosi anche sulla bellezza di conoscere Gesù e sull’importanza della trasparenza, e ai cardinali ha ribadito: «Il Papa, a cominciare da San Pietro e fino a me, suo indegno successore, è un umile servitore di Dio e dei fratelli, non altro che questo». Profonda anche la devozione mariana: prima uscita, a sorpresa, al santuario di Genazzano, dove è arrivato seduto accanto all’autista e ha pregato con semplicità accanto ai fedeli accorsi. Un Papa tra la gente, missionario di pace.
Missionario di pace
Robert Prevost, Papa Leone XIV, si rivolge subito ai potenti della terra invocando la fine delle guerre: storia di un pontefice americano, il primo della storia, con radici anche piemontesi e un pezzo di cuore in Perù