Molto spesso, quando temiamo qualcosa, quando non ci piace, è perché quella cosa la conosciamo poco. Il pipistrello è forse uno dei casi più emblematici di una repulsione che ha come fondamento l’ignoranza. Quest’animale, d’altronde, esce di notte, con il buio, ed ha un volo molto veloce. Due caratteristiche che non lo rendono facilmente osservabile.
Per fortuna, però, esistono luoghi come l’Abbazia di Staffarda, che hanno fra i propri scopi anche quello di creare cultura sui pipistrelli e dove, da quest’anno, si possono osservare questi animali in alta risoluzione e senza arrecar loro disturbo.
Il termine scientifico “chiroptera” deriva, in maniera quasi poetica, dalle due parole greche: chéir (mano) e pterón (ala). Mani alate che si intravedono sfrecciare nel cielo all’imbrunire, quando la nostra giornata finisce e la loro ricerca di cibo incomincia, e che hanno scelto da circa duecento anni di insediarsi fra i muri dell’Abbazia di Staffarda, dando vita ad una colonia riproduttiva di oltre mille esemplari.
L’Abbazia cistercense di Staffarda ha come data di fondazione il 1135, una delle prime d’Italia, ed è sorta dalla bonifica di quella che prima era la “foresta di Staffarda”, di cui rimane ancora oggi una piccola area boschiva, fra le ultime superstiti in pianura Padana. La bonifica era una vera e propria attività caratteristica dei monaci cistercensi, che cercavano aree e terreni non ancora lavorabili, da destinare alle coltivazioni. A loro modo, i pipistrelli stanno proseguendo questa attività di bonifica: con un raggio d’azione di 15/20 km, arrivano a nutrirsi ogni notte di insetti per una quantità equivalente al loro stesso peso corporeo. In particolare, il vespertilio maggiore, viste le sue dimensioni, si ciba non solo di zanzare e piccoli insetti, ma anche di coleotteri potenzialmente dannosi per le coltivazioni. Un vero e proprio insetticida naturale.
La colonia presente a Staffarda ha, presumibilmente, una storia lunga duecento anni. I monaci, infatti, abitarono i luoghi fino agli inizi del 1800, e l’Abbazia divenne parrocchia nel 1804, rimanendo disabitata per qualche anno. Una parentesi di tempo sufficiente per far sì che un gruppo di esemplari eleggesse l’antico calidario (l’unica parte dell’edificio ad essere scaldata dai monaci) a luogo ideale per la nidificazione e la riproduzione. Dagli anni ’80, infine, grazie all’intervento dei chirotterologi Paolo Debernardi e Elena Patriarca, la colonia viene protetta e monitorata da un sistema video, che quest’anno, grazie al Parco del Monviso, viene rinnovato con due videocamere in alta definizione.
«Far convivere un’area museale con un sito di osservazione naturalistica, comporta alcune difficoltà e responsabilità – ci ha spiegato Valentina Strocco, presidente dell’associazione Dialogart, che cura i progetti di valorizzazione e di fruizione museale – ma anche molte opportunità. Da una parte, ad esempio, un intervento di restauro andrà programmato in un periodo dell’anno in cui non ci sia la colonia (ovvero fra ottobre e aprile), lo stesso vale per l’organizzazione di eventi notturni, e per preservare il sito è stato pensato un sistema di pulizia e manutenzione programmato e periodico. Ma le opportunità sono certo maggiori: dal poter studiare da vicino questa colonia riproduttiva, alla possibilità di fare cultura presentando l’animale da vicino (per quanto l’osservazione avvenga attraverso un monitor, una delle due telecamere arriva a zoommare fino a 25 volte, con risultati mozzafiato), alla sensibilizzazione sull’inquinamento luminoso e atmosferico, all’organizzazione di attività di scoperta ed educazione. Infine, al poter racchiudere nel medesimo luogo, storia, cultura, architettura e natura».