Il vero Castelmagno

Da quando è diventato star dei formaggi, lo abbiamo assaggiato in tante versioni. Ma esiste ancora quello di una volta? “cialancia” è la risposta di pradleves

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Il Castelmagno. Quello di una volta. Quello di adesso. Quello bianco. Quello morbido. Quello gessoso. Quello erborinato. Quello vero. Quello imitato. In pratica non si capisce più niente e a poco valgono le spiegazioni tecniche perché con il passare del tempo, ovvero da quando negli anni ’80 è stata riconosciuta la denominazione e il Castelmagno è diventato una star del mondo caseario, abbiamo visto tutto e il contrario di tutto.
Insomma, per rispondere alla domanda se esiste ancora il Castelmagno di una volta, quando ancora non si chiamava così, ma Toma Duro, bisogna fare un passo indietro e prima di tutto capire l’origine di questa meraviglia, perché meraviglia lo è sul serio.
Prima di tutto occorre precisare che non è un formaggio nato per essere portato a valle e venduto ai mercati, come succedeva per la Raschera o il Gorgonzola, per esempio. Mille anni fa, o giù di lì, le borgate della Valle Grana erano difficili da raggiungere, per lo più attorniate da grandi pascoli che d’estate nutrivano le mucche, ma spesso anche capre e pecore, che ogni famiglia teneva nella stalla.

La sovrabbondanza di foraggio estivo, e di conseguenza di latte, in qualche modo doveva essere “capitalizzata” per essere utilizzata durante inverni di nevicate così abbondanti e di freddo così intenso da isolare gli abitanti per mesi e mesi.
Che caratteristiche doveva avere il formaggio per soddisfare queste esigenze? Prima di tutto doveva essere conservato fino all’estate successiva, senza marcire. Poi era necessario che occupasse poco spazio perché le cantine che venivano usate come dispense dovevano contenere tutto il cibo per tutta la famiglia.

La genialità degli uomini delle montagne pensò di comprimere la pasta del formaggio per far uscire la parte liquida in modo che, nell’umidità di quelle cantine di pietra sommerse di neve, la Toma Duro fosse sostanzioso nutrimento per tutto quel tempo. Ogni tanto succedeva che un po’ di muffa entrasse nelle spaccature della crosta conferendo un bel colore blu alla pasta e, questo lo sappiamo, dal punto di vista del gusto non poteva che essere un ottimo vantaggio.

E ora l’ultima domanda: esiste ancora un Castelmagno con queste caratteristiche? Per fortuna esiste. Lo produce la Cooperativa La Poiana di Pradleves e si chiama Cialancia che poi è il nome di una di quelle borgate di Pradleves che un tempo rimanevano sommerse dalla neve, tanto che il toponimo significa Valanga. Massimo Monetti, presidente della cooperativa che ha le sue origini in questa antica borgata, ha pensato di riprodurre il più fedelmente possibile le tecniche di stagionatura di un tempo, per cui il Castelmagno prodotto d’estate in alpeggio viene stagionato nelle cantine di pietra proprio come una volta, esponendo le forme a quell’umidità che con il passare dei mesi rendono la pasta morbida, straordinariamente gustosa e, quando si è fortunati, con quella stessa vena di blu che fa del Castelmagno un rarissimo esempio di formaggio a erborinatura spontanea. Basta un assaggio per capire perché sono in molti a chiamarlo il re dei formaggi.

 

Paola Gula