Qualcuno, pochi, forse non conosce la genesi. Il santo patrono di tutti i ‘backpackers’, i viaggiatori con lo zaino in spalla, secondo il New York Times ha un nome e un cognome inglese: Tony Wheeler, nato in Inghilterra nel 1946 prima di partire e trascorrere buona parte della giovinezza in Pakistan e negli Stati Uniti. Un trekking lungo la “rotta hippie” nel 1972 lo ha ispirato per fondare, insieme a sua moglie Maureen, una casa editrice di guide di viaggio: la Lonely Planet. Nasce così la voglia di raccontare un’avventura on the road che attraversa Europa e Asia fino ad arrivare in Australia, il sogno di Tony e Maureen Wheeler, due giovani sposini in luna di miele, che col loro Across Asia vengono travolti da un successo totalmente inaspettato. Dal 1992 le iconiche guide vengono tradotte e proposte al mercato italiano dalla Edt (Edizioni Di Torino) rivoluzionando il mercato del turismo, almeno nei suoi fondamenti.
Sul palco del secondo Tabui Evolve ci sarà anche Angelo Pittro, direttore Lonely Planet Italia dal 2000, che nella biografia si presenta così: “Vent’anni di lavoro con le guide di viaggio hanno reso Angelo insofferente nei confronti del lavoro d’ufficio”. Una passione divenuta lavoro.
A che punto siamo della transizione digitale?
«Sono in Lonely Planet da 25 anni e sentir parlare di transizione digitale mi fa un po’ tremare i polsi. La prima cosa che l’editore mi disse all’ingresso fu: “C’è questa roba nuova che si chiama Internet, che si chiama web: tu che sei giovane, hai più entusiasmo, occupatene e vediamo cosa si riesce a fare”. Probabilmente, siccome non abbiamo mai smesso di parlare di transizione digitale, la verità è che non esiste una transizione nel senso letterale: da un punto di partenza a un punto di arrivo. La definizione corretta è integrazione digitale: mondi diversi che viaggiano in maniera indipendente, parallela, o sovrapposta, a seconda delle epoche».
Non è una transizione, ma un’integrazione di canali. E così?
«Sì, esatto. Come nel caso del teatro con il cinema. Alla nascita della seconda si pensava che la prima sarebbe sparita, invece coesistono, influenzandosi a vicenda».
Come si è evoluta la comunità di lettori o di utenti Lonely Planet nel tempo?
«Beh, non so se parlare di evoluzione, parlerei di vero e proprio cambiamento. Nel 1973 si affermava un segmento di mercato, per dirla in linguaggio ‘marketing’: i giovani. Volevano viaggiare e, soprattutto, volevano viaggiare verso Oriente. Lonely Planet divenne lo strumento per aiutarli a fare quel tipo di esperienza. Oggi quell’esigenza non esiste più. Mentre allora mancavano strumenti di informazione, oggi serve uno strumento che sia in grado di selezionare, perché quello che i nostri lettori cercano da noi è l’affidabilità. La capacità di qualcuno che professionalmente sia in grado di selezionare da quel mondo di informazioni gratuite digitali che io trovo ovunque».
Si può dire che in tempi di cambiamenti le guide “educano” il viaggiatore?
«Non mi piace parlare delle guide come uno strumento educazione. Certamente c’è in noi la la volontà di affrontare, nei limiti del possibile, i temi che tutti, lettori e privati cittadini, affrontiamo a casa nostra, in famiglia, come la sostenibilità e l’iperturismo. Non puoi far finta di non vedere se ti occupi di questi argomenti, cercando di trovare le soluzioni e parlarne in modo tale che non sia soltanto una forma di “green washing”. È molto complicato, ma bisogna provarci».
Da dove occorre partire nella riflessione?
«Occorre sedersi al tavolo con cappelli diversi, mettendosi nei panni dell’altro. In questo caso i punti di vista utili sono quello del viaggiatore (“Sono interessato ad andare dove c’è troppa gente?”) e delle Istituzioni (“Sono interessato ad avere in casa mia più ospiti di quanti si possano sedere in salotto?”). Ci sono precisi limiti in cui stare, superati i quali il cittadino si ribella perché si reca del danno. Un problema si risolve soltanto occupandosene, insieme».
Com’è cambiato il modo di viaggiare dopo la pandemia?
«Anzitutto possiamo dire che non solo il tema del viaggio è tornato nelle agende, ma è prioritario. I prezzi sono per certi versi impazziti, ma i giovani scelgono di viaggiare a discapito di altre spese, come ad esempio quella di un’automobile. Dopo la pandemia il treno è tornato a essere un mezzo di trasporto molto amato, molto apprezzato per una serie di ragioni, compresa la già citata sostenibilità. I giovani di oggi viaggiano ovunque. Sentono meno la fascinazione per l’Oriente, il culto di una certa generazione. Loro si sentono a casa un po’ dappertutto. Forse è questo il vero cambiamento, il fatto che i giovani si sentano veramente cittadini del mondo».