«Il cervello salta, l’improvvisazione si impadronisce delle dita»

Il musicista Stefano Bollani ricorda l’infanzia albese: «Ero il jolly del professor Marengo»

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Le mani, le dita. Una filastrocca catalana, che si raccontava ai bambini che facevano i capricci col cibo, recitava partendo dal pollice: “Questo è il padre. Questa è la madre. Questo fa la zuppa. Questo se la mangia tutta. E a me perché non ne date di quello che mangiate?”. Un po’ crudele per il mignolo, ma molti bambini erano convinti che le dita della mano fossero dotate di vita propria.

Le dita delle mani di Stefano Bollani sono proprio così. Sui tasti si rincorrono, si lanciano, pigiano, tamburellano, scappano, scivolano, saltellano, pestano, vanno, vengono, si placano, si scaldano. Insom­ma vivono.
Ad Alba, per Piano Solo Tour 2025 con un concerto al Teatro Sociale sold out da settimane, Stefano Bollani viene sempre volentieri per immergersi nella sua città da bambino.

I suoi concerti sono un grande gioco musicale, sempre diversi l’uno dall’altro. Do­vrem­­mo vederli tutti, fotocopie non ce ne sono.
«È così. Ogni tanto ci sono dei punti fermi, ma non è detto. Generalmente non c’è niente di scritto, quindi non si sa che cosa succederà. Però in questo tour inizio suonando i 18 Preludi del mio ultimo album e i 25/30 primi minuti sono scritti nota per nota. Per me è una clamorosa novità».

I 18 Preludi sembrano un invito a farli propri, magari per chi suona a proseguire.
«Sì, non ho scritto le fughe apposta, sono tutti piccoli mondi, che lasciano appunto lo spazio all’immaginazione. è come si faceva anni fa all’esame per entrare in Siae. Ti suonavano otto battute di un pezzo. Poi tu dovevi continuare».

La si vede divertito sul palco. Quanto conta il coinvolgimento del pubblico e quanto gode a vederlo soddisfatto?
«Prima mi devo divertire io, sennò ho poche speranze di far divertire gli altri. Avere voglia di suonare è la prima condizione e, per fortuna, l’ho sempre avuta, non ho mai pensato “preferirei essere a casa”. Il segreto per mantenere questa voglia, probabilmente, è fare cose sempre diverse, giocando a cercare e trovare qualcosa di nuovo e differente».

Si adatta al pubblico che si trova davanti?
«No, magari solo qualche dettaglio perché l’atmosfera che si crea col pubblico influenza la mia prossima decisione nell’improvvisazione».

Chiaro il concetto, ma il concerto del 2007 a Rio de Janeiro nella favela Pereira da Silva, fu una strada obbligata per il tipo di musica.
«Certo, perché ero andato a suonare in quella favela con un gruppo di brasiliani e suonavo la loro musica. Però arrangiata da me in una maniera molto diversa. Sono abituati a cantarla a squarciagola ballando, io invece gliela facevo ascoltare in strumentale con armonie cambiate ed improvvisazioni. Era un po’ un azzardo, però era un esempio di come volevo coinvolgerli. Ho suonato cose che tutti conoscevano, ma ho detto la mia».

Il bello dell’improvvisazione, dice, è che lei stesso si sorprende. La mano ogni tanto va, ispirata, come se l’ispirazione saltasse il cervello e si impadronisse delle sue dita, in una sorta di tensione e rilascio.
«Giusto. La sua è una buona sintesi, mi piace. La firmo. è così nella maggior parte dei casi. Suonando non hai davvero il tempo di processare col cervello tutte le informazioni su cui hai studiato negli anni, né su perché fare una frase piuttosto che un’altra. Semplicemente vai. Molti musicisti ti risponderanno che studi tanto, elabori, pensi, ma poi la risposta immediata, quell’accordo, quella melodia, è uno stimolo che in effetti non è intellettuale. È un bisogno».

L’improvvisazione è una cosa che viene naturale. Ma l’intelligenza artificiale è dietro l’angolo anche per la musica. Per esempio Now and Then dei Beatles, che ha vinto il Grammy 2025 per la miglior interpretazione rock, l’ha utilizzata per rimettere in quadro il brano. In definitiva se dai gli input giusti l’IA può improvvisare?
«Ci sono già esperimenti in tal senso, però dipende sempre da chi e come li utilizza. Nel caso dei Beatles, se ho capito bene, hanno usato l’Ia per motivi tecnici. Sono riusciti a ripulire la voce di John Lennon, a pulire la sua chitarra. Un’altra questione è quando la usi per creare una cosa artistica. Proprio perché è così intelligente e ha in mano tutte le informazioni del mondo, è molto improbabile che sia personale, un’espressione ar­ti­stica unica, particolare, che abbia una profondità. Ne sa troppo. Il bello dei musicisti che ci piacciono è che sanno solo quanto gli serve per fare quella cosa. Bob Marley e Beethoven non sapevano tutto della musica. Invece l’Ia sì. Ed è per questo che fa fatica a scrivere come Beethoven e Bob Marley».

La musica in tv. A parte Sanremo e i talent, in tv la musica fatica ad esserci. Caso a parte e con successo Via dei Matti n. 0. Con Valentina Cenni in 22 minuti ci fate apprezzare la musica in molte versioni. Come se apriste la porta di casa e invitaste il primo che passa per suonare assieme e chiacchierare di musica.
«Lo spirito è quello ed è rimasto anche nella pratica. La scenografia del programma è molto vicino al gusto di casa nostra perché Valentina ha collaborato con gli scenografi. è il clima che ci piace: arriva un amico, stai suonando Beethoven, ma improvvisamente si parla di Bob Dylan. Tutto è connesso».

Ai primi di marzo è finita la quarta stagione. A quando la quinta?
«Tra i tempi nostri e i tempi della Rai è ancora presto mettere insieme le cose. Speriamo di sì, noi siamo pronti».

È un cittadino del mondo. Ma c’è una domanda d’obbligo per un settimanale della provincia di Cuneo: qual è la cosa che non dimentica mai di Alba, che fa parte del suo bagaglio genetico?
«Beh, mica poco: tutta l’infanzia, dai 3 agli 11 anni, fino alla prima media. Sono tantissime cose. Qualche giorno fa alla Fondazione Mirafiore c’era Corrado Marengo, il mio insegnante di storia che aveva la passione della recitazione. Organizzando una recita ave­va capito che oltre a suonare ero adatto al palco. Fece di me il mattatore assoluto. Ero assolutamente debordante, tipo “faccio tutto io”, un bellissimo ricordo perché è stata la prima volta su un palco. Presentavo, correvo a cambiarmi d’abito, facevo un personaggio, mi ricambiavo, suonavo il piano. Ero diventato il suo jolly».

STASERA, GIOVEDì 20 MARZO, IL CONCERTO AL SOCIALE DI ALBA: “PIANO SOLO TOUR”

Stefano Bollani ed il suo pianoforte. Basterebbe questo per definirlo. Ma è anche compositore, conduttore televisivo, attore, showman, divulgatore musicale. Nasce a Milano, ma passa la sua infanzia ad Alba, da adolescente sta a Firenze, oggi è cittadino del mondo. Ama il jazz e i jazzisti amano lui.
Ha pubblicato 50 album tra jazz, classica e pop.
Ha suonato con grandi jazzisti come Chick Corea e Lee Konitz e con orchestre classiche come la Gewandhausorchester di Lipsia e la Filarmonica della Scala. Divulga la musica in tv, il suo pallino è sempre il Brasile, collabora con le migliori voci italiane.
È in giro nei teatri italiani con il “Piano Solo Tour 2025”, date fino all’estate. In mezzo concerti jazz con il suo amico di sempre Enrico Rava e con Trilok Gurtu Duo. Il suo ultimo album “18 Preludi” si trova su tutte le piattaforme e in libreria si possono trovare anche gli spartiti oltre al cd.