Immaginate Gerry Scotti nella cinquecentesca Sala delle Maschere al Castello di Grinzane, immaginate la sua capacità affabulatoria in quel contesto di accademica convivialità. Calici alzati per l’investitura del celebre presentatore a Cavaliere dell’Ordine del tartufo e dei vini di Alba: sarà un momento speciale e accadrà domenica, in occasione del 322esimo “Capitolo della Primavera in Langa”.
Non è la prima volta che lei passa dalle Langhe.
«Ci sono stato come cittadino, invitato da amici e come “celebrità” ad eventi. Luciano Bertello è un po’ il mio Caronte, mi segnala ristoranti, cantine, manifestazioni e, se fossi più vicino, sarei ancora più presente. Invece posso permettermi un impegno ogni tanto, come in questa bella occasione per i Cavalieri del Tartufo e dei Vini di Alba».
Argomenti di cui lei è molto competente, giusto?
«I vostri vini e il vostro tartufo li ho conosciuti prima che diventassero di moda. Oggi sono un argomento diffuso anche sulle tavole e sulle bocche degli incompetenti, uno status symbol. Ma io so benissimo che questi prodotti sono legati ai valori della terra, a una storia millenaria. Altro che status da mostrare, è una realtà da vivere. Ecco perché ho accettato con enorme piacere di essere vostro testimonial. Se mi avesse invitato qualche sciabolatore di bottiglie di spumante, non lo avrei neppure ascoltato. Sono poco mondano e molto conviviale».
Il suo Oltrepò pavese e il Basso Piemonte: quante similitudini?
«Parliamo di territori uniti da una profonda storia di donne, uomini e cani da tartufo, di mani che lavorano. Dalle mie parti si dice “Ghè un problema, la tera ‘le n’tera” (ovvero “la terra è bassa”, ndr) e solo chi la lavora sa cosa significa. Ricordo che mio papà Mario aveva rinunciato a rimanere in vigna con suo padre, Pierino, ma quando a Milano aveva iniziato a fare l’operaio al Corriere della Sera, si prendeva le ferie non per andare al mare o in montagna, ma per aiutare mio nonno a dare il verderame e pulire le viti. E quando era tempo di vendemmia, tutta la famiglia doveva essere presente, qualsiasi altro impegno era meno importante. A noi bambini davano il “cavagnino”, il cestino, con le forbici, tornavamo utili per i punti più bassi, tagliavamo agevolmente quei graspi d’uva. Ho raccontato una scenetta che vale anche per Langhe, Roero o Monferrato. La nostra storia agricola è anche la nostra fortuna».
Che cosa apprezza di questo territorio?
«Da pavese che vive a Milano, dico che indubbiamente voi siete più bravi. Non fatemi dire, invece, che i vini sono migliori dei miei altrimenti mi fanno chiudere domani. Ma nelle Langhe i produttori si sono consorziati subito evitando scandali, litigi e incomprensioni, dalla vostra filiera c’è solo da imparare. Ogni volta vengo con sincera ammirazione, anche per i metodi di lavorazione».
Con questo background rurale, come è finito nel mondo dello spettacolo?
«È stato un incontro casuale. A Milano ho fatto il Classico, poi l’Università studiando da avvocato ma ho capito che non faceva per me e mi sono innamorato della radio. La mia casa è diventata Radio Milano International che tra l’altro, ha appena festeggiato 50 anni. Sono partito alla grande, passando da Radio Deejay con Cecchetto. Da lì il salto in tv è stato ineluttabile quanto non sognato, perché a me bastava fare ciò che amavo e forse oggi sarei ancora dietro al microfono con Linus».
Però l’impressione è che si sia divertito molto.
«La mia è sempre stata una tv leggera, all’insegna dell’understatement. Qualcuno mi ha rimproverato per questo, qualche prima firma sui giornali mi ha detto “Gerry potevi pretendere di più”. Io sono convinto di aver dato e avuto il giusto, felice di stare un gradino sotto le aspettative degli altri. È il mio modo di vivere e di lavorare e mi ha regalato serenità. Alla sera mi addormento tranquillo, altri magari soffrono di più. Se poi vado a letto dopo un bel bicchiere di Barolo, dormo ancora meglio».
La prima volta che lo ha bevuto?
«L’ho scoperto in tarda età, ma mi faccia raccontare un aneddoto».
Certamente.
«Nonno Pierino custodiva nella sua credenza una bottiglia di Barolo chinato. E quando uno di noi nipoti si ammalava di qualsiasi malattia – febbre, dolori di stomaco o male a una caviglia – ce ne dava un cucchiaino. Se funzionava? Sempre. O era un mago lui o era il Barolo chinato a fare miracoli».
Tornando al divertimento, le è piaciuto Sanremo?
«Sì, molto. Sono andato per l’amicizia con Carlo Conti e se non avessimo avuto la pressione della serata inaugurale ci saremmo divertiti anche di più. Felice per il bel gesto della Rai, ero l’ultimo a non aver ancora presentato Sanremo. Prima ero un Carneade qualunque, ora posso dire che l’ho fatto».
Sta avendo un grande successo sui social: anche qui il segreto è che si diverte?
«Ha anticipato la mia risposta. La passione non cambia, è quella che avevo da ragazzo per la radio. È un mondo che mi ha scoperto, poi io ho scoperto lui. Mio figlio Edoardo mi ci ha traghettato, ora sono il più amato tra i personaggi tradizionali, sono lo “zio Gerry”. Eppure i ragazzini non sanno della radio, del “Gioco dei nove” o di “Passaparola”, ma hanno scoperto che li faccio divertire. E per me è come la vasca della giovinezza di “Cocoon”».
Sono belle sensazioni…
«Bellissime. I ragazzi mi fermano come fanno con i calciatori: “Bella zio!”. E anche i maranza, i rapper duri, quelli tutti tatuati: “Gerry, facciamo la foto”. Mostrano una tenerezza nascosta e mi fanno sentire amato, loro che qualche problemino, come generazione, ce l’hanno. Lo dico perché vedo mio figlio, che ha 33 anni, alle prese con due bambini piccoli».
Pronto a indossare il mantello dei Cavalieri a Grinzane?
«Il diploma sarà un onore e anche un piacere. Io sono anche sommelier, sa? Ad honorem, ma dopo anni di seria professionalità. Tempo fa a Canale mi hanno dato un premio legato all’Arneis: un vino e anche un termine che amo, l’attrezzo un po’ arrugginito, usato dalla storia. Si dice anche da noi “Quello lì è un bell’arnès”. Ora sono anche Cavaliere e me la tirerò un po’».
Al Castello è già passato Antonio Ricci.
«Lo so, nella tribù di Striscia ci sono molti ammiratori delle vostre zone e c’è sempre una lotta interna per accaparrarsi gli inviti. Iacchetti non dice mai niente a Greggio e l’altro poi si arrabbia, poi c’è Davide Rampello. Mi raccomando, gli inviti consegnatemeli a mano, così gli altri non vengono a saperlo».
La tv è meglio dei social?
«Sui giornali si legge spesso di una tv “cattiva maestra”. Io ho l’impressione che la tv continui a essere maestra, con qualche buon contenuto. Tolta la testa e la coda, come si fa con la grappa, la tv generalista ha senso di esistere perché parla a tutti. I social sono più immediati, potenti e pericolosi come un revolver carico, ma di tv non è mai morto nessuno: esiste il telecomando. I social qualche danno l’hanno fatto. Prima noi conduttori eravamo figli di Mike Bongiorno, Corrado o Febo Conti. Ora pure l’ambiente del vino pullula di influencer».
Insomma, la tv resisterà?
«Da un ventennio dicono che stia per morire quella generalista. Arriva Netflix, arriva Amazon. Invece tiè, siamo ancora vivi. Io poi, facendo la tv commerciale, ho un vanto. Cioè, noi di Mediaset siamo gli unici che non abbiamo mai chiesto un euro come abbonamento o canone. In un mondo dove tutti ti mettono le mani in tasca per un film, una serie tv o una partita, mi lasci dire che non è poco».
CHI È
Nato a Miradolo Terme, in provincia di Pavia, nel 1956, si trasferisce assieme alla famiglia a Milano dove studierà Giurisprudenza prima di dedicarsi all’attività di speaker radiofonico. Raggiunge il grande pubblico grazie a Deejay Television (in onda su Italia 1) avviando così la sua fortunata carriera televisiva
COSA HA FATTO
Ha condotto per Mediaset trasmissioni sportive e musicali, poi numerosi quiz e show in preserale e prima serata, diventando uno dei volti televisivi più amati. Ha scritto il libro “Che cosa vi siete persi”
COSA FA
Domenica sarà ospite dei Cavalieri dell’Ordine del tartufo e dei vini di Alba che celebreranno il 322 Capitolo nella sede del Castello di Grinzane Cavour: «Parlerà del suo rapporto con vini e tartufo»