«Scelte coerenti: la transizione non si fa per decreto»

Franco Fenoglio, general advisor Rolfo Holding, è consigliere d’ammini­strazione di Ferrovie dello Stato Holding, società con 130 miliardi di fatturato e 100mila dipendenti, 12mila dei quali all’estero

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La Commissione europea ha concesso più tempo alle case automobilistiche per soddisfare gli standard europei sulle emissioni di Co2 ed evitare multe su benzina e diesel. Tre anni, per l’esattezza, anziché uno: la conformità si basa sulle emissioni medie nel periodo 2025-2027.

Il nuovo “Industrial Action Plan for the European Automotive Sector”, documento che delinea le strategie per il futuro dell’industria automobilistica, con un focus su transizione ecologica, competitività e sostenibilità economica, è stato prima annunciato dalla presidente Ursula von der Leyen, poi ufficialmente presentato (mercoledì 5 marzo) dal commissario europeo per i trasporti Apostolos Tzitzikostas. L’obiet­tivo di questo pacchetto è aiutare i produttori di auto europei a elettrificare le proprie flotte e competere con i più avanzati rivali cinesi e statunitensi, stimolando la domanda di veicoli elettrici nell’Unione e introducendo re­quisiti di contenuto locale per la produzione di batterie. Il piano può essere riassunto nei seguenti punti chiave: supporto alla produzione di batterie e rafforzamento della supply chain europea (a questo scopo sono previsti 1,8 miliardi di euro dal Fondo per l’Innovazione per la produzione di batterie, a cui si aggiunge un altro miliardo di euro per veicoli connessi e autonomi e batterie); investimenti in infrastrutture di ricarica (si parla di circa 570 milioni di euro) e incentivi per accelerare la transizione elettrica; revisione del regolamento sulle emissioni di Co2 per le auto, basata su un’analisi dei dati e degli sviluppi tecnologici; maggiore attenzione alla sostenibilità economica della transizione, per evitare impatti negativi su occupazione e industria.

Un sostanziale cambio di direzione, dovuto a diversi fattori macroeconomici, che da un lato offre ossigeno al mercato dell’auto, dall’altro mette in difficoltà i piani industriali di importanti aziende costrette a rivedere le proprie politiche a fronte di ingenti investimenti programmati in altra direzione.

«È davvero estremamente pesante. La visione vera deve unire l’aspetto politico e quello manageriale. Le scelte “prese dall’alto” rischiano di compromettere seriamente il futuro della filiera. Servono più competenze tecniche nella governance».

Ad affermarlo è Franco Fenoglio, general advisor della Rolfo Holding Srl, manager di lungo corso con una carriera di prestigio nel settore dell’automotive. Dal 1991al 2005 lavora presso Iveco Fiat Spa, prima a capo di commercial operation, poi in qualità di senior vice president sales and marketing con mansioni di responsabilità dell’intero processo commerciale di veicoli commerciali e industriali, autobus, motori e servizi. Nel 2005 Sergio Marchionne lo sceglie come presidente e amministratore delegato di New Holland Construction Equipment del Gruppo Cnh. Nel gennaio 2008 passa in Piaggio con la nomina di direttore generale della divisione veicoli commerciali con responsabilità mondiale. Nel 2012 entra in Scania con la carica di presidente e amministratore delegato di Italscania. Dal 2015 al 2020, inoltre, ricopre il ruolo di presidente della Sezione Veicoli Industriali dell’Unrae, l’Asso­ciazione che rappresenta le case estere operanti sul mercato italiano delle autovetture, dei veicoli commerciali ed industriali, dei bus, dei caravan ed autocaravan. Dal 2022 diventa consigliere d’amministrazione di Italferr Gruppo Ferrovie dello Stato Ita­lia­ne e, a giugno 2024 è stato nominato consigliere d’ammini­strazione di Ferrovie dello Stato Holding. Un curriculum qualificante che concede maggior peso al pensiero.

Cosa cambia questa decisione?
«Le aziende sono disorientate. La transizione ecologica frena in maniera brusca. Serve coerenza. Il primo esempio viene dagli in­genti investimenti in Esg, previsti e effettuati da diverse aziende con un orizzonte temporale ridotto per ottenere il previsto vantaggio competitivo: oggi, con questa decisione, sono avvantaggiati quelli che non li avevano pianificati».

In concreto?
«La Rolfo ha investito 1,5 milioni di euro in tre anni per aumentare la propria competitività, centrando importanti target sul fronte di transizione ecologica, dotandosi di strumenti utili anche alla certificazione di tali obiettivi. Oggi scopriamo improvvisamente che avremmo potuto pianificare altri due anni di processo, evitando di appesantire i conti senza ottenere un reale vantaggio competitivo».

E l’Europa oggi conta sempre meno nel mercato mondiale.
«I numeri del Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) sono preoccupanti per il vecchio continente. La loro crescita mette a repentaglio l’intero ecosistema, anche perché si muovono senza rispetto per l’ambiente. Esempio ne siano le 90 centrali a carbone che verranno azionate dalla Cina nei prossimi anni, non tracciate perché obiettivi militari: avranno un impatto negativo sotto diversi punti di vista».

Come si alimenteranno i veicoli del futuro?
«Dieci anni fa, in veste di presidente dell’Unrae, vedevo e incentivavo l’elettrico, ma non solo! La sostenibilità non è un concetto che qualcuno può fare per decreto: la sua gestazione richiede tempi lunghi. Il parco circolante è vecchio, per rinnovarlo servono diverse tappe, una delle quali può anche essere l’elettrico. Le opzioni di carburanti continueranno a essere molteplici, attendendo le migliori performance delle batterie e l’arrivo dell’idrogeno. La ricerca è fondamentale».

Serve un cambio nel metodo di valutazione dell’impatto?
«Oggi si parla di “Tank to Wheel” (dal serbatoio alla ruota, ndr). Un calcolo semplice quanto fuorviante, perché non tiene conto di quello che c’è a monte. In questo modo le emissioni di anidride carbonica di un’auto elettrica sono sempre zero. Nulle. Da tempo so­stengo il “Well to Wheel”, dal pozzo alle ruote, perché se si usano centrali a carbone a quel punto l’impatto ambientale è ancora peggiore. Le emissioni delle elettriche sono zero se, e solo se, l’energia per ricaricare è prodotta da fonti rinnovabili. Senza considerare, sempre nell’ottica dell’intera catena delle emissioni, il dispendio di energia che serve per smaltire pacchi batteria enormi. E questo non è un bene. Non aiuta l’ambiente e danneggia l’industria, traducendosi in un impatto sociale, economico occupazionale devastante».

Un intero sistema che dovrà avere il tempo di adattarsi.
«Sì, l’elettrico sarà magari molto importante, ma prima occorre pensare a come produrremo l’energia del domani, a come la trasporteremo, alla sostenibilità delle batterie: anche le terre rare hanno un loro naturale esaurimento. Tutte riflessioni che vanno a contraddire le decisioni politiche prese senza coerenza».

Intravede pericoli reali?
«Nel mondo dell’automotive l’Europa ha un vantaggio competitivo enorme che rischia di essere compromesso in pochi anni. Il nostro saper fare e le tecnologie più avanzate sono state cedute a produttori con economie in forte crescita al di fuori del nostro continente, in qualche modo “svuotato”: 120 anni di storia del termico spazzati dalla sera al mattino: “Non lo vogliamo più”. Oggi cambiamo idea, penso sia tardi».

Serve un cambio di mentalità.
«Le persone e le merci dovranno spostarsi non solo con altri carburanti, ma anche con altri mezzi. In questo senso dico con orgoglio che le Ferrovie italiane sono tra le migliori in Europa, spesso non lo sottolineiamo, anzi. L’inter­mo­da­lità deve entrare in totale discussione. Oggi il 45/50% dei camion trasportano… aria quindi dobbiamo lavorare su un trasporto più intelligente e ottimizzato. Fon­da­mentali in questo senso i lavori sulla dorsale Bari-Napoli, all’alta velocità Milano-Venezia, il Bren­nero e la Tav, non tanto per le persone ma per il trasporto merci. Il tutto in un sistema di valichi alpini aperti e percorribili, in grado di porre l’Italia al centro del mercato marittimo del Me­diterraneo, riacquistando il primato oggi in mano ai porti del Nord Europa».

Un patrimonio dello Stato.
«Ci sono collaboratori preparati e affidabili. Sarebbe bene cominciare a mettere in evidenza anche e soprattutto le cose positive, perché se tutte le volte scriviamo che le cose non vanno, non ne trae giovamento l’immagine dell’a­zienda, dello Stato e dei dipendenti che ci lavorano con entusiasmo. Il cambio di paradigma nel mondo dei trasporti passa anche attraverso la comunicazione, come sempre».

 

Articolo acura di Paolo Cornero