Un vino brioso, versatile, dotato di un intenso aroma muschiato e dolce. Il Moscato d’Asti Docg ha acquisito una sempre maggiore autorevolezza, passando da innovazione tecnologica e variazione del disciplinare, qualcosa che ha favorito la nascita di una gamma di tipologie più ampie pur con le caratteristiche di un vino ancorato alla tradizione e al tempo stesso aperto ai cambiamenti. L’usanza della “merenda sinoira” con un calice di Moscato d’Asti ha lasciato il passo, negli anni, ad altri abbinamenti sperimentati da chef e sommelier in soluzioni non più azzardate ma oggi glamour. E così ora è facile vedere questo vino accostato anche alle ostriche belon, dal gusto delicato e armonico. Tradizione e innovazione: il primo vino biologico italiano, lanciato sul mercato nel 1992, era proprio un Moscato d’Asti (quello prodotto da Gianfranco Torelli a Bubbio, Langa astigiana).
Il vino di Carlo Gancia, “inventato” nel 1865, di strada ne ha fatta. Di pari passo con i necessari passaggi burocratici. È recente la pubblicazione nella Gazzetta dell’Unione Europea che ha riconosciuto alla zona di Canelli l’etichetta Docg. E in questi giorni è tornato d’attualità il dibattito sul possibile ampliamento dei confini della Denominazione, che negli anni scorsi si era sempre scontrato con la possibilità di ricomprendere il Comune di Asti entro quei limiti.
Intanto è stata espressa una posizione chiara da parte di Coldiretti Cuneo che, in coro con le altre rappresentanze regionali, nei giorni scorsi ha respinto la proposta di un possibile allargamento dei confini del Moscato Docg dopo la riunione con il Consorzio di tutela e l’Associazione Comuni del Moscato.
Come ha spiegato Enrico Nada, presidente di Coldiretti Cuneo: «Non è emersa la necessità di allargare i confini. Prima di tutto perché mettere mano a una modifica del genere significherebbe creare un precedente. E poi perché l’andamento del mercato non richiede un aumento di produzione di Moscato e, se anche si rendesse necessario ampliare la produttività, sarebbero disponibili ulteriori superfici coltivabili nei confini attuali, al momento inutilizzate».
Il commento del presidente del consorzio Asti Docg, Stefano Ricagno, non suona come una chiusura altrettanto netta: «Stiamo valutando i dati in nostro possesso in modo oggettivo», ci ha detto commentando le notizie riguardanti la disputa sui confini del Moscato. «Coldiretti e le associazioni hanno detto no e quindi vedremo, valuteremo assieme a tutte le componenti senza preclusioni. Intanto abbiamo già alcune indicazioni su un tema così sentito. L’economia del vino è entrata o sta entrando in una fase molto delicata, dove la redditività del prodotto è ormai molto bassa. A questo proposito, forse il Moscato è uno dei pochi vini che mantiene ancora le sue posizioni, sta reggendo, ma certamente non mancano gli esempi di vini in difficoltà nel mondo della viticoltura in Piemonte…».
Servono quindi regole precise in un momento di grande confusione. Così si spiega la chiusura del settore di fronte alle spinte che arrivano dallo stesso ambito. E altri sviluppi come ad esempio il vino dealcolato? «Lo sviluppo commerciale è possibile, ma resta il fatto che ci troviamo in una situazione non facile di mercato», ribadisce Ricagno.
La produzione di Asti Spumante e Moscato d’Asti ha superato, a fine 2024, i 90 milioni di bottiglie. A trainare il risultato è stato il Moscato d’Asti che ha chiuso l’anno con un imbottigliato di oltre 33 milioni di pezzi, in aumento in doppia cifra grazie soprattutto a Stati Uniti, Italia e all’incremento dei consumi in Corea e Cina. Risultati in linea con il trend di consumo orientato verso prodotti alcolici a bassa gradazione, sia in Italia che all’estero. Ad oggi le aziende consorziate sono 1.013, divise tra 50 case spumantistiche, 778 aziende viticole, 153 aziende vitivinicole, 17 aziende vinificatrici e 15 cantine cooperative. Il 90% della produzione viene esportata. L’area di produzione attualmente definita copre 51 comuni piemontesi, di cui 14 in provincia di Cuneo, dove si concentra il 38%, pari a 3.610 ettari, della superficie totale dedicata, mentre il restante 37% è in provincia di Asti e il 25% in provincia di Alessandria.
«Oggi è importante concentrare gli sforzi per valorizzare il Moscato – ha aggiunto Nada – e accrescerne il valore per unità di vendita, al fine di incrementare la redditività ad ettaro dei produttori, sia di sola uva che di prodotto vinificato e imbottigliato con marchio aziendale. È nostro dovere difendere ad ogni costo l’integrità del patrimonio vitivinicolo, che le zone di produzione delle denominazioni di origine come il Moscato rappresentano, a tutela dei produttori che con sacrificio e grande capacità imprenditoriale, producono vini unici ed esclusivi di un territorio ben circoscritto». La conclusione di Francesco Goffredo, direttore di Coldiretti Cuneo: «Il mondo del vino deve affrontare sfide ben più difficili e complicate, dalle etichette allarmistiche ai prodotti dealcolati, e difendere un patrimonio rappresentativo del Made in Italy da approcci ideologici».