Donato Bosca e le colline di Langa un amore senza limiti

Il ricordo di un grande personaggio che forse non è stato ancora celebrato come meriterebbe. Contadino umile, scrittore appassionato e ricercatore instancabile, ha riscritto la storia di questo territorio

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Ricordare Donato Bo­sca è un dovere. È stato un grande scrittore e ha rac­contato questa terra con sfumature sociali e analisi letteraria. Donato aveva il dono di essere un contadino, uno scrittore e un ricercatore formidabile. Contadino perché era una persona umile, il cui vero valore era legato alla sua terra. I suoi genitori gli trasmisero, insieme ai suoi fratelli, il dono della modestia. Dicevano: «Stai un passo dietro a quello che sei realmente». E lui era quello: una persona discreta, con una profonda passione per l’ insegnamento, lo studio e la ricerca.
Mi diceva spesso: «Io amo queste colline, questa neve, amo il fango e il canto del gallo. Quando mi alzo e scendo in cortile di casa mia, sento l’odore dell’erba fresca, penso che non potrei vivere in nessun altro posto che nelle Langhe».
E così è stato: ha riscritto le pagine della storia di queste colline, raccontando cosa ac­cadeva dentro e fuori. Con Donato Bosca ho avuto un le­game particolare. Insieme, negli anni Settanta, iniziammo a occuparci della salvaguardia della memoria del mondo contadino e dei vari aspetti che quel mondo in trasformazione proponeva. La malora fenogliana e i sacrifici del dopoguerra erano alle spalle, si prospettava un futuro migliore, un certo benessere offerto dall’industrializzazione, dopo anni di fame e rinunce. Donato fu uno dei primi a intercettare quel cambiamento. Nei suoi lavori si nota il suo affanno nel descrivere ciò che percepiva: ha raccolto tantissimi scritti e fotografie che ritraggono personaggi del mondo rurale, la lo­ro storia e la loro visione del futuro.
Una delle prime ricerche a cui partecipai anch’io, insieme al pittore Luigi Carbone, fu il libro “Racconti di Masche”, incentrato sulla superstizione nel mondo rurale delle Lan­ghe, le credenze popolari e le loro conseguenze sociali. Fu presentato dalla Famija Al­beisa nel 1979 con l’intervento preziosissimo di Nuto Revelli, il quale si congratulò con noi per l’importante lavoro svolto e per il suo valore storico, che metteva in luce le angosce di una società povera e succube delle superstizioni. Erano gli anni in cui lo scrittore di Cuneo lavorava pazientemente alla stesura del libro “L’anello forte”, un viaggio nel mondo della donna contadina, un’indagine sui matrimoni misti tra i nostri contadini e le “calabrotte”, donne energiche che lasciavano la loro terra per inserirsi in un contesto sociale spesso difficile da sostenere.
Donato e Nuto sono stati due personaggi imprescindibili. Han­­no aperto una porta su quel mondo agreste che va dal dopoguerra fino agli anni Ottanta. Bosca ebbe il coraggio di parlare apertamente di un certo moralismo sociale e religioso, che ebbe conseguenze significative su una società in trasformazione. Do­po “Racconti di Masche” vi­­de la luce un nuovo libro, “Den­tro le segrete cose”, nato con le stesse collaborazioni del primo. Come suggerisce il titolo, le cose erano così segrete che gli autori ricevettero una serie di querele da far rabbrividire. Fu la prima volta che un libro rischiò di affrontare un processo. A nostra difesa intervenne l’ami­co e avvocato Gianni Vercellotti di Cuneo, insieme a una serie di intellettuali, tra cui il sempre presente Nuto Revelli. Il baccano mediatico che ne scaturì fu enorme, coinvolgendo l’intero paese e i salotti televisivi. Il giorno del processo, grazie al nostro avvocato, che ebbe l’ardire di paragonare i racconti incriminati a quelli fenogliani e alle reazioni suscitate da “Un giorno di fuoco”, si arrivò alla conclusione che non si poteva condannare un racconto. Sa­rebbe stato come bruciare un libro solo perché non piaceva. Dopo questa dichiarazione, per farla breve, la denuncia fu ritirata e tutto finì a tarallucci e vino. Donato visse quei mo­menti con inquietudine, tanto da condizionare il suo lavoro per molto tempo. La storia di Donato continuò con la nascita della sua associazione, “L’Ar­vangia”, un collettivo di persone dedicate alla ricerca documentata del territorio e alla diffusione di quel lavoro attraverso una delle più im­portanti riviste letterarie, “Lan­ghe”.
Donato Bosca meriterebbe molto più di quanto gli sia stato riconosciuto: grazie al suo lavoro sono nati numerosi volumi e ricerche importanti, disponibili nelle biblioteche o nella sede dell’Arvangia a San Donato di Mango, a disposizione delle scuole o di chiunque cerchi informazioni preziose, frutto di un lavoro certosino.
L’ultima volta che abbiamo in­contrato Donato fu a casa sua. Ci raccontò: «Se c’è un libro che mi ha condizionato è senz’altro “Racconti di Ma­sche”. Da quei racconti ho ricavato la paura, la sensazione di insicurezza. Credo che essere entrato in quella realtà magica mi abbia nuociuto dal punto di vista della crescita intellettuale. Impiegavo ore, la sera, per addormentarmi: bastava una persiana che sbatteva per il vento o un rumore qualunque a provocarmi spavento. Ero entrato così dentro quei racconti che non potevo fare a meno di subirne gli effetti. Le Masche, specifica Donato, sono la parte non sana dell’intelligenza, qualcosa che tiriamo fuori dal nostro passato peggiore e che fa capire come tutto sia nella nostra testa».
Uno dei lavori più importanti che ha irrobustito come insegnante di lettere è stato intervistare gli anziani e portarli a scuola: un espediente prezioso per far comprendere la storia ai ragazzi. Non avevano di fronte il Presidente della Re­pubblica, ma un falegname, un calzolaio, un panettiere o un contadino, che raccontavano la loro vita e il modo in cui stavano vivendo la cosiddetta terza età. Per i ragazzi un bene inestimabile. Donato ha un altro grande merito: aver ascoltato le voci lontane dei piemontesi immigrati in Argentina. Questa ricerca lo portò, insieme a me, a intraprendere un viaggio in Ar­gentina nel 1986, da cui nacque il libro “Io parto per l’America”, il primo a raccontare la storia di quei protagonisti, le loro avventure non sempre facili e fortunate. Da quel libro nacque anche la canzone “Italiani d’Argenti­na” di Ivano Fossati.
Donato ci teneva molto a Nuto Revelli, lo considerava il vate. «Con lui ho imparato cosa vuol dire saper ascoltare, il segreto della parola che si fa storia e scioglie i nodi del passato per semplificare il futuro delle giovani generazioni».
Oggi che non c’è più molte persone lo ricordano tanto che ho pensato (e non soltanto io) di realizzare un documentario su di lui, un documentario che racconti che cosa e chi è stato. Per non dimenticare uno studioso che amò così tanto la sua terra da non smettere mai di parlarne.

 

Articolo a cura di Bruno Murialdo