La cura è attenzione, dedizione e donazione verso gli altri
PERCORSI DI SOSTENIBILITÀ
Il bando promuove la sostenibilità ambientale degli enti del territorio e favorisce azioni di contrasto e adattamento al cambiamento climatico
RIGENERAZIONE – LA COMUNITÀ CHE CURA
Promuove l’attivazione di processi territoriali di prevenzione e cura di persone con patologie croniche
PROGETTO WELLGRANDA
Azione sistemica per creare un’infrastruttura permanente a supporto del welfare nella provincia di Cuneo
+API – OASI FIORITE PER LA BIODIVERSITÀ
Sensibilizzare attivamente il tessuto sociale rispetto alla tutela della biodiversità con oasi fiorite
GIARDINO DELLE IDEE
Già sostenuti cinque progetti per prevenire il disagio giovanile attraverso attività culturali, sociali e sportive
SICURI PER SCELTA
Assieme a Provincia di Cuneo, Fondazioni Cr Fossano, Cr Saluzzo e Cr Savigliano per riportare all’attenzione dei giovani la sicurezza stradale
FONDO EMERGENZE
Interventi urgenti per calamità aturali, salute pubblica, sicurezza e infrastrutture a rischio
La cura non è solo assistenza, ma condivisione, ascolto e possibilità. È l’elemento che trasforma un limite in un’opportunità, che permette di abbattere barriere e costruire nuovi percorsi. Un principio che si ritrova nelle iniziative promosse dalla Fondazione Crc e che ha trovato espressione concreta in “Sami Around the World”, un viaggio che è diventato un esempio e un motore senza confini.
Il 25 giugno 2021, Sami Ben Hamza, Andrea Lavella e Annalisa Lombardo sono partiti da Torino, percorrendo diecimila chilometri attraverso l’Italia in cento giorni. Hanno vissuto esperienze incredibili, dal paracadutismo alla moto da corsa, dimostrando che ogni ostacolo può essere superato se affrontato con lo spirito giusto. Sami soffre di tetraparesi spastica distonica, una condizione che gli impedisce di muovere gran parte del corpo e lo costringe a comunicare attraverso una tavoletta alfabetica. Nonostante questo, non ha mai rinunciato alla voglia di vivere lo sport e l’avventura. Andrea e Annalisa sono stati i suoi primi compagni di viaggio, quelli con cui ha condiviso esperienze e sogni.
Francesco Nappi, laureato in Scienze Umanistiche e diplomato alla Scuola Holden, si occupa di storytelling e comunicazione. È stato lui a dare forma al progetto, trasformandolo in un racconto capace di coinvolgere, generare sostegno e dare un significato più ampio a ogni tappa del viaggio.
Come nasce “Sami Around the World”?
«Tutto è iniziato nel 2019, quando Andrea e Annalisa mi hanno contattato mentre si trovavano in Messico. Mi hanno raccontato del loro amico Sami, della loro amicizia di lunga data e del desiderio di intraprendere con lui un viaggio mai tentato prima: arrivare fino a Tokyo via terra. L’idea era partire da Torino con un camper e percorrere la Via della Seta per raggiungere il Giappone in tempo per le Paralimpiadi. Il progetto era affascinante, ma per essere realizzato aveva bisogno di una struttura solida. Servivano fondi, mezzi adeguati, visibilità. Così abbiamo iniziato a costruire una strategia di comunicazione per renderlo possibile».
Perché proprio il Giappone?
«All’inizio era solo una meta lontana, ma poi ci siamo resi conto che Tokyo aveva un valore simbolico enorme. Lì si sarebbero svolte le Paralimpiadi e Sami, che aveva sempre vissuto lo sport come una passione, avrebbe potuto assistere a qualcosa di straordinario. Da semplice viaggio il progetto è diventato una sfida più grande, un modo per dimostrare che lo sport e l’avventura possono essere accessibili a tutti. Abbiamo pensato che attraversare due continenti con un camper non fosse solo un’esperienza, ma una vera e propria performance. In questo modo è nata l’idea di raccontarlo come una disciplina, un modo nuovo di vivere il viaggio e la disabilità».
Poi il Covid ha bloccato tutto. Cosa avete fatto?
«Avevamo lanciato il progetto nel gennaio 2020, aperto una raccolta fondi e trovato sostenitori importanti. L’Officina Ortopedica Maria Adelaide e Ottobock avevano realizzato due carrozzine su misura per Sami, Bluvacanze aveva garantito supporto logistico per il viaggio. I giornali avevano iniziato a parlarne, la campagna aveva raccolto quattordicimila euro su ventimila. Poi, a due settimane dalla partenza, tutto si è fermato. La pandemia ha annullato ogni piano e siamo rimasti bloccati per mesi. Abbiamo cercato di mantenere vivo il progetto con iniziative digitali, perfino con un videogame in cui Sami doveva sfuggire al virus. Ma sapevamo che, per ripartire, serviva un nuovo piano».
In che modo questa nuova impostazione ha cambiato il senso del viaggio?
«Dopo un anno di incertezze, nel 2021 ci siamo detti: se i confini internazionali restano chiusi, attraversiamo l’Italia. A quel punto il progetto ha cambiato forma. Non era più solo un viaggio verso Tokyo, ma un’esperienza per dimostrare che l’avventura non ha barriere. Sami, Andrea e Annalisa hanno ripreso il vecchio furgone di Sami e lo hanno rimesso a nuovo, riprogrammando il percorso. E così è nato qualcosa di ancora più significativo: un viaggio in cui la disabilità non era un ostacolo da superare, ma parte integrante dell’esperienza. È stato allora che abbiamo iniziato a chiamarlo paradventuring».
Cos’è il paradventuring?
«Abbiamo dato un nome a quello che stavamo facendo. Sami da solo non avrebbe potuto vivere certe esperienze, ma anche Andrea e Annalisa, senza di lui, non avrebbero vissuto lo stesso viaggio. Il paradventuring è “la disciplina con cui un gruppo di persone, con diversi gradi di abilità, trova il modo di superare i limiti fisici e mentali per migliorare la propria vita, imparando gli uni dagli altri e divertendosi insieme”».
In cento giorni avete attraversato tutta l’Italia. Qual è stato il momento più incredibile?
«Ogni esperienza ha lasciato un segno, ma ce ne sono alcune indimenticabili. Il giorno in cui Sami si è lanciato con il paracadute è stato un punto di svolta. Era qualcosa che nessuno di noi avrebbe fatto, eppure lui non ha esitato. A Perugia abbiamo vissuto un altro momento forte. Vanni Oddera, campione di freestyle motocross, ha preso Sami in braccio, lo ha messo sulla sella della sua moto ed è partito. Noi eravamo preoccupati, Sami rideva. Questi momenti hanno ribaltato il nostro modo di vedere la disabilità».
Quanto è stato importante raccontare questa storia nel modo giusto?
«Era fondamentale. Volevamo evitare il pietismo e l’enfasi sull’eroismo individuale. Sami non è un simbolo di coraggio, è un ragazzo con le sue passioni. Il viaggio è stato raccontato attraverso Sami Around Tv, una diretta settimanale in cui venivano mostrati video, foto e tappe dell’avventura. Il nostro obiettivo era far capire che un’esperienza del genere non solo non è impossibile, ma è reale, concreta e replicabile».
Cosa resta dopo questo viaggio?
«Un’esperienza che vogliamo trasformare in un documentario, in uno spettacolo, in un format narrativo. Abbiamo dimostrato che il paradventuring può essere un nuovo modo di pensare l’inclusione».
Articolo a cura di Daniele Vaira