In un mondo sempre più diversificato, le aziende sono chiamate a ripensare le proprie strategie per creare ambienti di lavoro inclusivi e valorizzare il talento di ogni individuo. E la comunicazione inclusiva è un elemento fondamentale per costruire relazioni positive e valorizzare la diversità all’interno delle organizzazioni. Inoltre, non si può ignorare il fatto che diversità e inclusione non siano solo temi importanti nel contesto aziendale, ma riguardino la società nel suo complesso. In questa intervista, grazie alle parole di Sambu Buffa, inclusive marketing strategist, analizzeremo come le iniziative di inclusione promosse, fra gli altri, dalla Fondazione Industriali, possano contribuire a costruire una società più equa e inclusiva. Scopriremo inoltre come la comunicazione inclusiva possa essere uno strumento potente per promuovere il cambiamento sociale.
Fondazione Industriali propone, in collaborazione con Confindustria Cuneo, un percorso di formazione gratuita dedicato agli strumenti per organizzare gli inserimenti di persone straniere in azienda, con l’obiettivo di creare valore per le aziende e per la società. In particolare lei ed Elena Dall’Amico curerete il secondo incontro intitolato “La Roadmap dell’inclusione. Dall’accoglienza alla partecipazione: strategie inclusive” – a chi si rivolge, di cosa si parlerà e quali sono le sue aspettative?
«L’incontro andrà a lavorare sia sulle pratiche di accoglienza, che sulle azioni concrete da adottare in situazioni con persone con background migratorio. Analizzeremo cosa non dare mai per scontato, attraverso un percorso di ricostruzione di stereotipi e pregiudizi, cercando di comprendere come questi possono influenzare il modo in cui parliamo e vediamo l’altra persona. Lavoreremo per costruire l’abitudine ad un’interazione sullo stesso piano, senza influenze esterne.
Non è il solo profitto a fare di un’azienda un’attività prospera, ma anche quanto le persone producono. Per questo è fondamentale curare quanto lavoratrici e lavoratori stiano bene nel contesto aziendale. È importante che la persona si senta valorizzata. Sempre più di frequente, le aziende sono chiamate a lavorare con persone provenienti da background molto diversi, ciò implica la necessità di un’apertura che porti a comprendere e valorizzare la diversità e il talento di tutti».
Che impatto può avere una buona gestione della diversità per un’azienda?
«L’impatto può essere enorme ed andare in diverse direzioni. In primis bisogna considerare la reputation dell’azienda. Diversi studi confermano che almeno il 70% dei consumatori preferiscono brand inclusivi ed attenti alla diversità. Ma non basta, naturalmente, fare belle pubblicità, bisogna lavorare per andare a fondo al tema dell’inclusione in maniera trasparente. Questo aiuta senz’altro a creare fiducia da parte delle persone che lavorano in azienda e dei consumatori che scelgono il brand.
Ad esempio, i giovani della Generazione Z ci dicono molto di quella che dovrebbe essere la visione a lungo termine delle nostre aziende. Spesso preferiscono dare importanza a come si lavora, più che al quanto si guadagna. Il contesto aziendale precede, per importanza agli occhi dei giovani, lo stipendio».
Diversità, uguaglianza ed inclusione. Che ruolo giocano questi tre termini nella società contemporanea?
«Ci troviamo a vivere in un periodo storico in cui convivono generazioni profondamente diverse fra loro. Diventa difficile far coabitare un’evoluzione positiva della diversità che sia transgenerazionale. Non è una questione di capriccio o moda momentanea, si tratta della società e della cultura che evolvono. Oggi l’obiettivo è quello di capire in che modo possiamo costruire un contesto culturale in cui tutte le persone abbiano gli stessi diritti, le stesse opportunità ed una relazione con la società che sia paritaria.
La diversità esiste, non va accettata, va valorizzata. Ogni passo deve andare nella direzione della costruzione di una società più equa».
Il suo impegno come “inclusive marketing strategist” le permette di osservare la situazione della comunicazione inclusiva da un punto di vista privilegiato. A che punto sono le aziende del territorio in questo ambito?
«Nel cuneese devo constatare un’ottima risposta ai percorsi di formazione proposti. Questo è un ottimo segno, perché denota una volontà che parte dall’interno delle attività del territorio, che dimostrano di voler investire energie, economiche e di tempo. Dal punto di vista della comunicazione, è stato fatto tanto, ma in queste cose si sa, c’è sempre tanto altro da fare.
Non è certo una prerogativa del cuneese, ma si denotano ancora alcune resistenze sull’uso del linguaggio. Ad esempio il linguaggio di genere è uno degli argomenti più dibattuti quando vado nelle aziende: il classico ingegnere / ingegnera genera ancora attriti. Ma le parole creano la realtà. Ciò che ci sembra stonare oggi, potrà sembrarci perfettamente assonante domani. Anche dare del tu o del lei può fare la differenza, importante calibrare la nostra attenzione su queste sfumature».
Ci può raccontare un case study che ritiene interessante, parlando di inclusione?
«Ires Piemonte, ha iniziato a porsi domande interessanti, anche grazie a corsi di formazione completi e mirati, destinati al personale addetto agli sportelli antidiscriminazioni. È chiaro che con la giusta formazione operatrici ed operatori possono apportare un grande valore aggiunto nel comprendere la persona che si trova di fronte, le sue esigenze e le sue attitudini. L’Istituto di Ricerche Economico Sociali del Piemonte ha lavorato per mettere insieme i saperi di tutti gli sportelli dell’area geografica di competenza. Ha raccolto le esperienze delle varie realtà territoriali, ridistribuendo in tutta la regione le conoscenze e i saperi. In questo modo si è creata una base importante per intraprendere un percorso di miglioramento e di impatto concreto. Sono stata coinvolta in prima persona in questi percorsi formativi, proprio per apportare il mio contributo sul tema delle discriminazioni razziali, e devo ammettere di essere molto soddisfatta da come si è lavorato».
“Cambia mentalità in chiave di diversity, equity and inclusion nella tua attività”: il titolo del suo libro è molto eloquente, ma è il sottotitolo ad attirare ancor più l’attenzione: “Per comunicare responsabilmente, devi cambiare dentro”. Quanto è importante l’approccio personale nell’affrontare il cambiamento su queste tematiche? E cosa può fare una persona nel proprio quotidiano per iniziare a cambiare dentro?
«La parte personale è importantissima. Siamo persone e siamo quel che siamo anche sul lavoro. Per quanto in ambiente professionale il nostro atteggiamento possa variare, il nostro modo di agire nei confronti della diversità rimane lo stesso, soprattutto negli aspetti più inconsci. La prima cosa da fare quando ci troviamo di fronte alla diversità è fermarsi e ascoltare i nostri pensieri. Tutto si gioca in pochi istanti, ma è un lavoro fondamentale per aiutarci a creare “categorie” più positive, andando oltre il pregiudizio. È un allenamento a non fermarsi all’apparenza e a generare immaginari diversi da quelli che ci possono venire in mente al primo sguardo».
Articolo a cura di Riccardo Meynardi