«Quegli anni a Cuneo tappa più importante della mia carriera»

Fefè De Giorgi, ct azzurro del volley, ospite di Be4Innovation per Alambicco Academy

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Ferdinando De Gior­gi, det­to Fefè, ct della na­zionale ma­schile di pallavolo campione del mon­do, arriva sorridente alla Martini & Rossi di Pessione (frazione di Chieri, Torino): per un giorno sarà professore per la Alambicco Academy di Be4In­novation. Il sorriso non lo ab­bandonerà mai mentre racconterà ai dirigenti di azienda intervenuti per un corso di formazione le sue strategie vincenti.
D’altronde De Giorgi vanta una carriera invidiabile e ha saputo mettere a frutto tutta la sua esperienza di giocatore e di allenatore. Faceva parte della “generazione dei fenomeni”, il periodo d’oro del nostro volley, quando quella selezione, allenata da Julio Velasco, riuscì a vincere tre Mondiali di fila tra il 1990 e il 1998. In maglia azzurra vanta 330 presenze, al settimo posto con Luca Cantagalli e Andrea Sartoretti. Da giocatore aveva ottenuto anche una strepitosa vittoria negli Eu­ropei in Svezia, nel 1989, lo stesso anno in cui arrivò il secondo posto nella Coppa del Mondo. Nel suo palmares vanta inoltre un campionato con la Panini Modena (stagione 1986-1987) e la doppia vittoria in Coppa Italia con Cuneo (1995-1996 e nel 2001-2002). A Cuneo ha vinto anche la Supercoppa Italiana nel 1996, la Coppa delle Coppe (1996-1997), la Supercoppa Europea nel 1996 e la Coppa Cev nel 1995-1996 e 2001-2002.

Una carrellata di successi: che cosa può trasmettere lo sport che vince agli imprenditori?

«La pallavolo regala metafore sportive molto forti. Il gioco di squadra è fondamentale nelle aziende e permette di raggiungere risultati impensabili per il singolo. Proprio come quando si è sul campo. Ci sono meccanismi dello sport che si possono replicare nel mondo del lavoro. Ogni allenatore ha il suo stile, il suo modo di rapportarsi con gli individui, ma l’elemento più importante, che dovrebbe riguardare tutti, secondo me, è la capacità di coinvolgere. Bisogna far partecipare ai progetti, condividerli. Dopo la pandemia gli equilibri nelle aziende sono cambiati, so­prattutto con l’introduzione dello smart working. Bisogna recuperare lo spirito di squadra e lo si ottiene coinvolgendo tutti nei progetti che si vogliono portare avanti, a tutti i livelli, con la corretta motivazione».

È vero che la pallavolo è lo sport più di squadra di tutti?

«Assolutamente sì. Pensiamo solo ai “tre passaggi”: non è un gioco obbligatorio ma se realizzati bene sono l’ideale per raggiungere l’obiettivo cioè il punto. Già solo per questo si capisce come la pallavolo sia più gioco di squadra di altri. Bisogna avere buone capacità di rapportarsi con i compagni, di capirsi al volo con uno sguardo. E il gioco sotto rete aiuta a sviluppare l’autocontrollo e a gestire meglio le situazioni. Pen­siamo che in un campo di 81 metri quadrati si muovono 6 persone: devono coordinarsi e avere ciascuna la giusta libertà».

Qual è stato il dettaglio che le ha permesso di trasformare il gruppo della Nazionale in una squadra vincente?
«Un dettaglio è troppo poco. Ho messo in piedi un nuovo percorso, con un importante cambio generazionale: ho preso ragazzi anche dalla A2. Ho scelto di puntare sui giovani, su ragazzi che avessero buone capacità relazionali, rispetto e disponibilità all’allenamento, al lavoro anche duro. Ho cercato di creare un ambiente esigente ma non pesante: i ragazzi sono contenti di giocare insieme. E hanno messo da parte gli individualismi per una sola parola: Italia».

Lei ha trascorso diversi anni a Cuneo: quali aspetti di quel periodo ricorda con maggior soddisfazione?

«Per me Cuneo ha rappresentato tantissimo, è stata la tappa più importante della mia carriera. Ci sono stato per tre anni da giocatore, poi due da allenatore-giocatore e infine uno da allenatore. Qui ho cominciato la mia carriera da coach. C’è uno dei palazzetti più belli d’Italia, la gente, i tifosi sono incredibili, mi hanno fatto sentire sempre un supporto ed un calore eccezionali. La pallavolo è molto amata e seguita. E poi a Cuneo si vive benissimo, ci sono stato bene io ma anche la mia famiglia. I miei figli non volevano andarsene».

Chieri ha appena vinto una coppa europea nel femminile, che cosa ne pensa?

«Non ho seguito la partita purtroppo, ma vedo che Chieri è una bellissima realtà e potrà fare ancora tanto».

È molto diverso allenare nel femminile rispetto al maschile?
«Io non ho mai allenato squadre femminili. Vedo che hanno una sensibilità diversa nell’approccio, l’allenatore secondo me deve avere ottima memoria e non scordarsi mai nulla. Ma se si crea l’atmosfera giusta, le donne sono micidiali in quello che riescono a dare».
Perché in Piemonte il volley maschile non esprime più da tanto tempo una squadra di vertice?
«Nello sport ci sono dei cicli. Il Piemonte ha una grande tradizione di pallavolo, ed è un peccato che non ci siano più le grandi squadre. Ma questo territorio tornerà ad esprimere squadre di alto livello, ne sono sicuro».