Utero in affitto, parlano i Radicali Cuneo

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Riceviamo e pubblichiamo

Continuano a chiamarla “utero in affitto”, come se fosse possibile affittare per nove mesi una parte del corpo. A chi parla di affitto, proponiamo di cambiare il nome a tutte le professioni che coinvolgono una qualche parte corporea del lavoratore: l’operaio diventa “mani e schiena in affitto”, la cantante sarà “corde vocali in affitto” e così via. Se vi sembra assurdo è soltanto perché è assurdo. L’utero non è una parte del corpo con uno status speciale rispetto alle altre, la si può usare per prestazioni, così come usiamo il nostro cervello, le mani, le gambe, i polmoni. Il problema della Gestazione Per Altri (GPA), questo è il nome corretto che la descrive in modo neutro e non prevenuto e fazioso, è che può risultare una forma di sfruttamento qualora prevedesse uno stipendio, perché le persone più povere potrebbero ritrovarsi costrette a dare prestazioni in tal senso in cambio di soldi. È il medesimo problema che fu riscontrato quando si decise di testare i farmaci, ritenuti piuttosto sicuri ma ancora in fase di studio, sugli esseri umani. Chi lo farebbe mai se non fosse costretto da ristrettezze economiche? Ad oggi i test dei farmaci sull’uomo è su base volontaria, e avviene regolarmente. Ci sono persone che per qualche ragione amano sottoporvisi nonostante non ci sia alcun tornaconto di alcun tipo, nemmeno economico.

Perché non fare la stessa cosa con la GPA? In molti paesi esteri è già regolamentata sottoforma strettamente volontaria: alle donne che vi si sottopongono vengono solo rimborsate le spese mediche, di modo che alla fine non spendano soldi loro ma che il guadagno netto del contratto risulti pari a zero. È palese che in una forma simile la GPA non possa in alcun modo essere una possibile forma di sfruttamento, visto che nessuno ci può guadagnare e quindi chi lo fa è perché vuole farlo. Se si leggono le interviste delle donne che hanno svolto gravidanze per altri, ci si accorge di come si parli spessissimo della volontà di essere incinte e gestare, ma della certezza di non volere figli. Molte parlano dei loro periodi di gravidanza come tra i più belli della loro vita, e contemporaneamente esprimono la ferma opinione di non avere alcuna intenzione di avere una famiglia. La GPA, allora, è un’opzione per permettere loro di vivere su base volontaria e gratuita quell’esperienza, favorendo anche chi vuole di crescere quel figlio.

C’è invece una modalità nella quale la gestazione per altri può facilmente scaturire in una forma di abuso e costrizione: quando questa è vietata e non regolamentata, lasciata alla mercè degli accordi illegali sottobanco, quelli sì economici e pericolosi anche per la salute della donna che dovesse accettarli, perché privi di qualsiasi forma di consenso medico informato, informazioni adeguate e assistenza medica garantita durante la gravidanza. L’unico modo per renderla sicura e non costrittiva è legiferare a favore, regolamentandola in ogni suo aspetto, tenendo come punto fermo la salute e il consenso della donna, e i diritti dei genitori futuri. Il dibattito che ci auguriamo scaturisca dalle polemiche di queste settimane è quello sui suddetti temi, in modo che agli slogan vuoti e propagandistici possiamo sostituire una discussione ferrata e concreta, che aiuterà le donne e le future famiglie.