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«Ordine giornalisti presidio a tutela di tutta la società»

Il presidente Stefano Tallia ha avviato da Alba il tour in regione: «Informazione bene primario»

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È partito giovedì 8 marzo da Alba il tour delle provincie dell’Ordine dei Gior­nalisti. Una nuova abitudine avviata con l’insediamento del nuovo Consiglio regionale nel 2021 che ha l’ambizione di avvicinare l’Ordine ai territori e che quest’anno, in occasione delle celebrazioni per il 60° anniversario della legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti, ha acquisito ancora maggior valenza stimolando il confronto sulla professione e le nuove sfide che è chiamata ad affrontare. L’ap­puntamento albese ha visto tra i relatori, oltre al presidente Stefano Tallia e al vicepresidente Ezio Ercole che hanno toccato i temi della riforma dell’Ordine, lo storico del giornalismo Mauro Forno e la se­gretaria Maria Teresa Marti­nengo con due focus, rispettivamente, sulla storia dell’Ordine e sul ruolo delle donne nell’informazione. Ma qual è oggi il ruolo dell’Ordine dei giornalisti? Lo chiediamo al presidente Ste­fano Tallia.

«L’Ordine si pone innanzitutto a presidio delle garanzie e a tutela di tutta la società. Le carte deontologiche, di cui è custode, proteggono in molti casi soggetti deboli e fragili. Penso alla Carta di Roma che si occupa di migranti, a quella di Venezia che si occupa delle donne, di Treviso che si occupa di minori, di Torino, scritta con l’Ordine dei medici, che si occupa dei diritti delle persone malate. Sono Carte a presidio della dignità delle persone e, naturalmente, anche della libertà di informazione. Molte volte si apre il dibattito se ha senso o non ha senso l’Ordine dei giornalisti. Certo, l’Ordine ha bisogno di essere riformato, poggia su una legge scritta 60 anni fa che raffigura una professione che oggi è del tutto cambiata. Però, ripeto, penso che in questo ruolo si possa svolgere una funzione civica molto alta a tutela dei soggetti deboli e della libertà di informazione».

Attualmente però il tentativo di autoriforma dell’Ordine è stato fermato…
«Il Consiglio nazionale dell’Ordine aveva approvato una delibera che cambiava i criteri di accesso al professionismo, ma il ministero della Giustizia è intervenuto spiegando come la riforma dovesse essere affidata all’iniziativa del Parlamento. L’Ordine ne ha preso atto e ha avviato un confronto con il Governo per arrivare a una definizione. L’Ordi­ne ha cercato di interpretare, stando nel perimetro della leg­ge, quelli che sono i nuovi ruoli. Certo, lo può fare più autorevolmente il Parlamento ed è quello che noi chiediamo da anni: dotarci di strumenti attuali».

Il tema riguarda anche l’allargamento della platea. Perché per un comunicatore o un social media manager è un vantaggio iscriversi all’Ordine?
«La professione giornalistica si può svolgere se sei iscritto all’Ordine dei giornalisti, altrimenti al netto dell’attività assicurata dell’Articolo 21 della Costituzione, si ricade nell’esercizio abusivo della professione. Se parliamo di un “comunicatore” che non è tenuto al rispetto dei vincoli deontologici, benché lo sia ovviamente al rispetto della legge, è fuori dal nostro perimetro. Ma una persona che lavora su contenuti giornalistici deve stare all’interno dell’Or­dine dei giornalisti. Il social media manager di un giornale non studia semplicemente dei “claim” efficaci per propagare i contenuti nella rete, ma è una persona che interviene e pensa dei contenuti perché possono propagarsi attraverso quello strumento. Ci devono essere delle regole che chiariscano qual è il perimetro della professione che, nel tempo, si è già allargata a grafici, fotografi e tele cineoperatori proprio tenendo conto delle trasformazioni della professione. Tra l’altro un iscritto all’ordine è tenuto alla formazione continua che dovrebbe essere una garanzia di aggiornamento».

Formazione: a che punto sia­mo?
«La formazione è un obbligo, ma anche un’opportunità. Oggi un giornalista non può fare il giornalista se non ha delle competenze tecniche minime che gli consentono di muoversi nella rete, consultare le fonti aperte per capire cosa c’è dietro un sito o una notizia. Il rischio è quello di diventare noi stessi, che dobbiamo proteggere i cittadini, vittime del mercato delle fake news. Da questo punto di vista la formazione è una cosa seria e, tra l’altro, una delle principali voci di spesa dell’Ordine perché assicuriamo ai colleghi corsi gratuiti in presenza (e online) in tutte le province del Piemonte».

Qual è, infine, lo stato di salute dell’informazione italiana. Cosa vede nel nostro futuro?
«Inutile dire che in questo momento è critico. Siccome siamo in Piemonte e parliamo di ciò che accade dalle nostre parti, l’abbiamo visto anche di recente con le dichiarazioni dell’amministratore del gruppo Gedi, tra i più importanti gruppi editoriali italiani, sulla disponibilità a cedere alcune testate. Senza entrare negli ambiti di mercato di quelle che sono società private, preoccupa la mancanza di un progetto editoriale chiaro. Però io credo che ci siano anche le risorse per uscire da questa crisi se riconosciamo l’informazione come un bene primario della società. Dob­biamo lavorare perché si saldi un’alleanza, una sorta di patto sociale, tra tutti gli attori di questo mondo quindi editori, giornalisti e politica. Abbiamo bisogno di leggi che riformino questo sistema e lo tengano al passo con i tempi, di leggi che redistribuiscano le risorse (normativa sul copyright). Di editori che abbiano il coraggio di scommettere sull’innovazione e, naturalmente, giornalisti disposti ad accettare la sfida di una professione in continua trasformazione. Credo che se noi riuscissimo a realizzare questa alleanza potremmo costruire un futuro solido per quello che è un bene indispensabile per la democrazia del nostro paese».

 

Ezio Ercole ricorda la collega Amarkel vittima del naufragio
al largo di Crotone

Nell’ambito del primo incontro del tour delle provincie partito da Alba, e che festeggia il 60° anniversario dalla fondazione dell’Ordine dei giornalisti, il vicepresidente Ezio Ercole ha voluto dedicare la giornata alla giornalista afgana Torpekai Amarkel, in fuga da Kabul e morta con la sua famiglia nel naufragio di Cutro. Aveva 42 anni, un marito e tre bambini, aveva lavorato alla radio nazionale afgana e collaborava con l’Onu. In suo ricordo è stato osservato un minuto di silenzio. «Era una festa, delle donne e delle giornaliste, ma non si poteva non ricordare questa collega morta nelle acque al largo di Crotone. Una cosa troppo grande, vissuta quasi in diretta – ha sottolineato Ercole -. Perché ricordare questo tragico fatto di cronaca insieme ai colleghi dell’Ordine? Perché l’Ordine è garanzia stessa di libertà, insieme all’articolo 21 della Costituzione». Un atto doveroso a sostegno di tutte le colleghe afgane e iraniane e di tutte le donne che lottano per la libertà e l’emancipazione, contro i regimi.


Articolo a cura di Erika Nicchiosini

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