«L’America è sempre il paese dove il talento trova chi lo premia»

La corrispondente da Washington per le reti Mediaset: «La guerra in Ucraina incide sul confronto commerciale con la Cina, sempre più aspro, ma non è l’unico fronte aperto per gli Usa. Da Trump a Biden la linea politica non è mutata. L’Italia deve perseguire un interesse nazionale e mostrare le sue qualità»

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In collegamento da Wa­shington o da New York racconta puntualmente la realtà vista dall’America, cioè da una dimensione per molti aspetti ancora molto diversa dalla nostra. Una realtà che a volte amiamo e a volte non comprendiamo. Maria Luisa Ros­si Hawkins è la corrispondente dagli Usa per le reti Mediaset, giornalista che nasce politologa: «Ho seguito un percorso accademico in quella direzione, poi sono diventata giornalista. Ho il doppio passaporto e conosco bene questa nazione e soprattutto la politica americana».

È una politica che è cambiata in qualche modo per gli effetti del Covid prima (tema a cui lei ha dedicato un libro) e dall’attuale guerra in Ucraina poi?
«In America ogni quattro anni c’è l’avvicendamento presidenziale, ma il Covid ha portato anche un cambiamento epocale nelle relazioni umane, professionali e politiche che ci porteremo dietro nel tempo. Ora vediamo gli effetti di una recessione quasi ingovernabile. Tre anni di virus hanno sicuramente cambiato molti aspetti della società anche americana. Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, vista dall’Italia questa è la protagonista assoluta della politica estera, è totalizzante. Per gli Stati Uniti invece, anche se comporta un esborso finanziario notevole e un allineamento con gli alleati, non è l’unico fronte della politica estera: c’è infatti la questione cinese, quella dell’area del Pacifico, dell’A­me­rica latina e la lotta ai cartelli della droga, il Medio­riente, Israele, l’Africa e c’è anche l’Ucraina. La prima fonte di preoccupazione per questo conflitto sta nella competizione commerciale con la Cina. Per il cittadino americano si tratta di una questione di democrazia in Ucraina e quindi di rapporti con l’Europa».

In questo contesto il confronto con la Cina che ruolo ha assunto?
«Dall’epoca di Nixon è “il” problema, l’argomento centrale in tema di economia e geopolitica. Con l’avvento di Xi Jinping e l’accelerazione delle mire espansionistiche cinesi, è esplosa l’esigenza americana di contenere questa tendenza e passando da Trump a Biden la dialettica non è sostanzialmente cambiata. Le rivelazioni dell’Fbi sul virus uscito dal laboratorio oppure da un mercato di Wuhan hanno la stessa matrice trumpiana, magari espressa in modo diverso. Il rapporto commerciale con la Cina è sempre ispirato a una profonda competizione ma anche, dal punto di vista degli Usa, alla sfiducia per la poca trasparenza cinese. La forte contrapposizione è evidente ed emerge dalle minacce cinesi in caso di intervento americano in Ucraina. In questo contesto la Russia, suddita della Cina, fortifica la contrapposizione tra gli schieramenti».

Il dialogo come procede?
«Da parte della Cina non è “confrontational”, non c’è spirito di contraddizione, c’è volontà di dominare attraverso rapporti commerciali. Loro vedono inoltre come una provocazione ciò che per l’Occidente è il diritto all’autodifesa, cioè la questione Taiwan».

Con Biden che cosa è cambiato?
«Il linguaggio di Trump era più provocatorio, ma le politiche sono le stesse, quelle commerciali derivano direttamente da Trump così come non muta la politica estera e nemmeno quella interna. E qui mi viene da dire che purtroppo l’Italia non ha un interesse nazionale, i governi che si avvicendano basando la loro azione sulle esigenze del momento, dettate da elementi esogeni che puntualmente subiscono. Nessuno mette mano a questa situazione, forse perché troppo complicata. Dico sempre che noi italiani facciamo di tutto per mostrarci non determinanti nel panorama internazionale, ma è una mia opinione».

Con il Governo attuale cambia qualcosa nei rapporti Italia-Usa?
«Italia e Stati Uniti sono alleati di indiscutibile fedeltà, gli americani contano sull’Italia e viceversa. Siamo interdipendenti, come ha ribadito anche il ministro Tajani, uniti da valori comuni e grande consuetudine. Presto la premier Meloni risponderà all’invito di Biden e verrà qui. A questa amministrazione interessa che l’Europa sia una sponda sicura per aiutare gli Usa ad arginare la Russia nella difesa dell’Ucraina. Sarà legittimo chiedere qualcosa in cambio. Macron è già venuto a Washington armato di promesse da strappare e commesse da assegnare alla Francia».

Resiste ancora il “sogno americano”?
«Sono da poco rientrata da Londra e ogni volta che arrivo in Europa, la adoro e la capisco (io sono romana) ma quando torno negli Usa ritrovo una proiezione, una speranza, la capacità progettuale così come quella realizzativa che purtroppo in Europa manca. In Italia siamo una società stratificata ma non ci sono opportunità per tutti, questo invece continua a essere un Paese dove non solo si può progettare, ma è doveroso farlo per se stessi e per il Paese. Questa capacità va riconosciuta, poi ci sono difficoltà oggettive legate al momento economico. Ma in America si concede ancora fiducia a chi vuole lavorare. Non c’è l’assistenzialismo dell’Europa ma la possibilità di mostrarsi, e questa continua a essere una caratteristica dominante. Certo, la recessione è pericolosa e non solo per gli Usa ma a livello mondiale. Nonostante ciò, pur evitando di parlare di “sogno”, l’Ame­rica offre sempre a chi voglia e sappia lavorare un’opportunità. Qui il talento trova sempre un acquirente, da noi in Italia invece si passa ancora da presentazioni e raccomandazioni».

Conosce il Piemonte?
«Sono figlia di un generale dell’Esercito che prima di essere addetto militare a Washington è stato un anno a Vercelli. Ho ancora molti amici anche a Torino, al Po­litecnico, apprezzo molto il tartufo di Alba e conosco bene le virtù di una regione così importante, schiva ma aristocratica, con tanti talenti. Un vettore della cultura italiana, che decisamente amo molto. Ma trovo che certe doti non siano sotto gli occhi di tutti. Torino è una città meravigliosa, assimilabile a Parigi per forza attrattiva e la regione ha tante aziende importanti, anche tecnologicamente. Eppure se ne parla poco. Ma è un discorso che vale per l’Italia in generale».

CHI È

Corrispondente da New York per i telegiornali e i programmi delle reti Mediaset, è laureata in Scienze Politiche a Padova e specializzata in politica comparata alla University of Virginia e alla Columbia University di New York. Nata a Roma, è cresciuta a Washington Dc

COSA HA FATTO

Per sei anni ha ideato e condotto la rubrica quotidiana “Stelle a strisce” su Tgcom 24.
Nel 2017 si è trovata assieme alla sua troupe a una decina di metri dall’auto che a Times Square, New York, piombò sulla folla uccidendo una ragazza e ferendo altre persone

COSA FA

Interviene in collegamento dagli Usa che conosce bene e che ha raccontato anche nel libro pubblicato nel 2020 con il titolo “America Virus America, cronaca di una Elezione Infetta”
(ed. Piemme). A novembre ha raccontato le elezioni di Midterm segnalando l’ascesa del trumpiano Ron DeSantis e le questioni legate all’aborto