Il Denina Pellico Rivoira intervista il partigiano Nino Garzino

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Nella mattinata del 3 febbraio gli studenti del Denina Pellico Rivoira si sono collegati in videoconferenza per vedere l’intervista al partigiano di Saluzzo Nino Garzino, intervista che i rappresentanti d’Istituto avevano registrato e montato il giorno prima. Il video è stato  preceduto da un’introduzione di Giorgio Rossi, presidente dell’ANPI di Saluzzo, e di Dario Carli, prof. del Liceo Bodoni in pensione.
L’architetto Rossi ha raccontato agli studenti cos’è l’ANPI, nata nel giugno del ’44 a Roma per accogliere tutti coloro che da partigiani avevano combattuto il nazifascismo. Oggi l’associazione è aperta a chi ne condivide gli ideali di libertà, democrazia, uguaglianza contro ogni forma di dittatura nella difesa della pace e nella tutela dei diritti. Rossi ha  ricordato come nacquero le prime formazioni partigiane formate da uomini e donne di tutti i ceti sociali, religioni e credo politici, disposti a rischiare e spesso a donare la vita per quella “Libertà” di cui non avevano neppure mai sentito parlare durante il regime. Ha ricordato la violenza e il terrore con cui i nazifascisti pensavano di soffocare questa speranza e le stragi di civili che hanno interessato le nostre zone: l’eccidio di Boves (25 morti fra cui il Parroco e il viceparroco) il 19 settembre del ’43, quello di Ceretto, frazione di Costigliole (27 morti) il 5 gennaio del ’44. Il prof. Carli ha integrato ponendo l’accento sull’importanza del concetto di Libertà, che oggi diamo per scontato, e dello sviluppo di un senso critico che possa condurre all’autonomia nelle scelte. Concetti sicuramente apprezzati da un pubblico di studenti.


E’ seguita l’intervista a Garzino, da cui sono emersi ricordi intensi. Cosa facevano i giovani italiani in epoca fascista al sabato? Nel sabato fascista smontavano e rimontavano il fucile mitragliatore a occhi bendati e se non avessero partecipato alle adunate sarebbero stati puniti a scuola il lunedì. “Tutti i sabati in divisa, ci facevano sparare. Un fucile mitragliatore in mano a un ragazzo di 18 anni non poteva che inculcare l’idea della violenza e della guerra. Eravamo tutti succubi di Mussolini e lo siamo stati finchè la guerra non ci ha aperto gli occhi. A un certo punto per alcuni di noi è stato chiaro che bisognava porre fine a tutto questo eliminando il fascio”. Rossi aggiunge: “Allora non si era abituati a ragionare, in casa non si parlava di politica perchè era pericoloso. Ne parlavano a scuola quelli che erano deputati a riempirti la testa con idee fasciste, venivi allevato come un pollo in un pollaio che può mangiare solo quello che gli danno da mangiare. I partigiani si sono inventati il concetto di Libertà che, per chi era nato nel fascismo, non esisteva. Se non prendevi la tessera fascista non trovavi lavoro e rischiavi addirittura che ti ammazzassero di botte o ti obbligassero a bere litri di olio di ricino fino a farti anche morire”.


Quando Nino decise di diventare partigiano, nonostante la preoccupazione della sua famiglia, andò al comando partigiano di Rore in un momento in cui la Valle Varaita non era ancora occupata dai tedeschi e in seguito fu mandato al distaccamento del Birrone in Valmala. Da lì partivano le loro azioni partigiane. Le bande della Val Varaita erano sostanzialmente Garibaldine, ma Garzino apparteneva alla banda di Giustizia e Libertà guidata da un capitano dell’esercito, Gianaldo. “Mio padre ha accolto bene il mio desiderio di diventare partigiano anche se non era facile, ma condivideva le mie idee”. I ricordi sono dolorosi, come quello del suo amico Guglielmo di Melle, vent’anni, al primo anno di medicina (Nino era al primo anno della facoltà di agraria) che avrebbe voluto unirsi alla loro banda. Provò a raggiungerli verso Valmala durante un rastrellamento dei tedeschi a Melle, ma fu catturato e impiccato davanti alla sua casa con la corda che i tedeschi si erano fatti dare dalla madre obbligandola ad assistere. “Io ci penso tante di queste volte a Guglielmo” dice Nino. Nino passa da un ricordo all’altro: una sera fuori Savigliano la banda dei suoi era in appostamento per attaccare le colonne di tedeschi a piedi che transitavano tutte le sere sulla provinciale. “Alla fine dell’attacco non ho sentito la ritirata e sono rimasto da solo in mezzo al fuoco tedesco. Sono stato miracolato e sono arrivato vivo al Varaita, solo che il fiume era già grosso, era fine marzo. Ci siamo aiutati io e un altro partigiano, abbiamo attraversato il fiume e siamo stati accolti in una cascina dall’altra parte”.
In occasione dell’appena trascorsa giornata della memoria si è toccato il tema degli ebrei: “Non si capiva perchè dovessimo avercela con gli ebrei, non era neanche un’idea politica diversa la loro, era una religione. C’erano tanti ebrei con noi in banda, non c’era differenza, forse avevano un ideale ancora più profondo del nostro”. Nino è stato fra i partigiani più di un anno. “Sono orgoglioso di essere stato partigiano e oggi è importante continuare a parlarne perchè i regimi totalitari non devono più esistere. In Russia c’è un individuo come Mussolini, finchè c’è gente come quella le guerre ci saranno sempre”. Interviene Rossi: “Allora se ti prendevano ti impiccavano. Avevano arrestato un ragazzo di Revello che lavorava in municipio e che aveva falsificato delle carte di identità per i partigiani, l’hanno rinchiuso alla Castiglia per un po’ e poi l’han portato sotto l’ala di ferro per impiccarlo. La corda si è rotta e allora, anzichè graziarlo com’era consuetudine, gli hanno sparato e l’hanno impiccato morto. L’han lasciato appeso per tre giorni perchè tutti lo vedessero come esempio. Un altro episodio riguarda un ragazzo di Balma Boves che aveva raccolto due bossoli d’ottone per venderli. Non era un partigiano. Lo hanno impiccato agganciandolo a un gancio da macellaio a Paesana. Il fratello che ha assistito alla scena non ha più parlato per un anno. Esempi di crudeltà per incutere terrore. Le guerre generano comportamenti perversi, persone normali diventano anormali”.
Conclude Garzino: “Dopo la Liberazione abbiamo trovato subito lavoro, sono entrato al Consorzio Agrario. I fascisti erano tutti spariti o avevano cambiato idea. Ma nel paese non c’erano mai stati veri fascisti, solo il veterinario, che non era di Sampeyre: mi ricordo una volta in cui lui e mio padre, che era profondamente antifascista, si sono presi a botte dal ferramenta”.
Alla domanda se i giovani d’oggi avrebbero il coraggio di fare i partigiani la risposta è semplice: i ragazzi di oggi il coraggio lo troverebbero perchè hanno conosciuto la libertà e sanno cosa vorrebbe dire perderla.