Schiacciate dall’andamento stagionale sfavorevole (caldo e siccità) del 2022 e dall’aumento vertiginoso dei costi di produzione, non compensati dalla discreta crescita delle quotazioni, le aziende maidicole della provincia di Cuneo hanno fatto registrare rese mediamente inferiori del 35% rispetto a quelle ordinarie.

A livello regionale, negli ultimi dieci anni, secondo rilevazioni Istat, la produzione è calata del 32%, in linea con la diminuzione della superficie totale coltivata, calata del 33%, dai 194.807 ettari del 2012 ai 130.645 ettari del 2022.

La provincia Granda conferma i numeri regionali con un calo, sempre nell’ultimo decennio, del 35% della superficie coltivata, dai 61.040 ettari del 2012 ai 39.510 del 2022 e di quasi il 30% della produzione. Nel Cuneese, secondo in Piemonte soltanto a Torino, con una superficie coltivata di oltre 39.000 ettari di mais (sugli oltre 130mila regionali) e una produzione totale scesa del 9% tra il 2021 e il 2022, Confagricoltura Cuneo guarda con apprensione a questa tendenza e, per voce del presidente Enrico Allasia, chiede una maggiore attenzione al lavoro di tutta la filiera locale e un più ampio coinvolgimento dei maiscoltori, che contribuiscono fin dall’inizio alla nascita delle tante eccellenze gastronomiche del Cuneese.

«Sul nostro territorio nascono prodotti DOP e DOCG che tutto il mondo ci invidia, siano essi formaggi o derivati dalla carne, che provengono dai nostri campi e dalle nostre stalle: per questo è necessario coinvolgere il maiscoltore nella filiera corta, rispettando e valorizzando il suo fondamentale apporto nella creazione dell’eccellenza – spiega Enrico Allasia -. È importante, quindi, da un lato puntare sulle biotecnologie, lavorando su ricerca e innovazione per combattere funghi e micotossine, ridurre gli stress abiotici sulle culture e abbattere i costi e, dall’altro, è imperativo che la Commissione europea e il Governo italiano si rendano conto che la riforma della PAC non ha favorito negli ultimi anni la coltivazione dei seminativi, a causa dei costanti tagli e che sia posta maggiore attenzione a questa filiera, essenziale per la nascita di moltissimi prodotti di eccellenza».

Anche i dati nazionali parlano di una grave diminuzione della produzione e delle superfici coltivate a mais. Le difficoltà del comparto italiano sono state certificate qualche giorno fa anche dal CREA – Centro di ricerca Cerealicoltura e Colture Industriali di Bergamo, secondo cui la resa media di granella scesa a livello italiano dal già modesto valore del 2021 di 10,3t/ha a 8,3 t/ha, dichiarando che l’import per la campagna 2022/2023 potrebbe di conseguenza aumentare a 7,6 milioni di tonnellate, per un valore superiore ai 2 miliardi di euro.

Il calo di resa pesa sempre di più sulle aziende italiane e sull’Europa intera, tanto che si prevede che la situazione di dipendenza dall’import sarà molto presto una seria problematica per tutti i paesi comunitari.