Beppe Ghisolfi: «BCE e caro denaro»

Dopo la diatriba Bund BTP il nuovo spread ("tassa sui poveri") è quello dei mutui

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Era l’autunno del 2018 quando il Banchiere scrittore Beppe Ghisolfi, nel corso di una popolare trasmissione televisiva nazionale, disse per la prima volta che lo spread, al pari della inflazione di einaudiana memoria dell’immediato secondo dopoguerra, altro non era se non una nuova, molto pericolosa “tassa sui poveri”, poiché colpiva chi mancava di liquidità propria e necessitava di richiederla in prestito, per esempio per firmare il sospirato atto di acquisto della prima abitazione.

Era un periodo in cui il differenziale tra i rendimenti delle obbligazioni sovrane italiane e tedesche era tornato a livelli nettamente superiori alla soglia di tolleranza, e rendeva il debito pubblico meno sostenibile sul piano degli interessi passivi e patrimonialmente insidioso per l’effetto di svalutazione nei bilanci delle Banche che lo avevano in portafoglio: con obiettive e non evitabili conseguenze sulla capacità di erogare nuovi o maggiori mutui a famiglie e imprese.
Adesso che pure i famosi Bund della Germania sono usciti dalla zona dei tassi negativi, per l’esigenza del Governo di Berlino di finanziarsi sul mercato dei capitali per dare seguito al maxi piano anticrisi da 200 miliardi di euro, e i rendimenti dei nostri BTP sono più bassi dell’indice di un’inflazione che nel Belpaese rimane a due cifre (a differenza della media europea scesa a una), lo spread che incombe sulle famiglie, mutuatarie o potenziali richiedenti mutui, è quello tra tasso variabile e tasso fisso.

La decisione più recente della BCE di Christine Lagarde di aumentare di 50 punti base (ossia di mezzo punto) i tassi di riferimento, produce conseguenze sull’onere finanziario di un mutuo, per effetto di un meccanismo che misurato dall’indice Euribor rende più costosi i finanziamenti interbancari, incoraggia gli istituti di credito a non ridurre le proprie riserve presso la Banca centrale europea – e dunque cala la quantità di moneta in circolazione, che è il fine ultimo di una politica restrittiva disinflazionistica – e rende più severe le condizioni a cui le altre banche si possono approvvigionare.

Il Bignamino del Professor Beppe Ghisolfi offre una chiave di lettura immediata e interattiva sull’argomento, e per questo ne è vivamente consigliata la lettura in questa speciale fase storica.

Il dato finale è quello comunicato al mutuatario dall’istituto erogante il prestito cosiddetto ipotecario, e per questo motivo le attese diffuse – alla vigilia del provvedimento ultimo della Eurotower di Francoforte – erano nel segno della tensione ma anche della speranza che il rialzo potesse essere più contenuto in ragione del calo della componente energetica del livello generale dei prezzi. Speranza vanificata dalla decisione finale assunta dal direttivo guidato da Lagarde, la quale anzi ha annunciato che la linea intransigente dei rincari proseguirà nei prossimi mesi fino al conseguimento dell’obiettivo di riportare il tasso di inflazione sul percorso tendenziale del 2 per cento fissato dal trattato di Maastricht.

Sul tema, intervistato dal magazine on-line Money, si è soffermato il Professor Salvatore Giuffrida, titolare della cattedra di estimo all’ateneo di Catania, il quale mette in guardia sulla necessità di evitare una riedizione dello scenario che si materializzò tra il 2006 e il 2007 allorquando le pressioni inflazionistiche in Europa riguardavano non la crescita dei costi energetici bensì (come sta accadendo negli USA) quella dell’economia reale, ma l’epilogo fu quello, a causa del raddoppio dei tassi, di mettere in sofferenza i debitori meno solvibili e i nuclei familiari più vulnerabili che avevano stipulato contratti per ottenere finanziamenti a induce variabile.

Il legislatore, consapevole di simili ripercussioni, è intervenuto più volte per aumentare le tutele dei mutuatari attuali e potenziali: fin dal 2013, con una legge tesa a ridurre il costo del finanziamento sui prestiti prima casa stipulati dai giovani con meno di 36 anni di età, norma poi rafforzata dal Governo Draghi e infine prorogata da Giorgia Meloni a tutto il 2023 a vantaggio delle famiglie con ISEE fino a 40.000 euro e per un importo massimo concedibile di 250.000 euro; e più di recente a sostegno dei debitori in essere, con parametro ISEE fino a 35.000 euro e importo da saldare residuo non superiore a 200.000, per poter migrare dal tasso variabile a quello fisso.
Un provvedimento questo che è stato ribadito in più occasioni dal Senatore di Forza Italia Dario Damiani, esperto di questioni bancarie e autore di apprezzati interventi e relazioni sulla manovra economica e sui vari decreti di aiuti e sostegni che si sono susseguiti nelle votazioni parlamentari, oltre che artefice – con la piena stima e solidarietà del Banchiere e amico Ghisolfi – della riproposizione del disegno di legge per l’introduzione dell’insegnamento scolastico obbligatorio dell’educazione finanziaria.

Al fine di ulteriormente bilanciare gli effetti dell’aumentato costo del denaro a seguito delle decisioni di Francoforte, che non si fermeranno a quella assunta ieri – e sulle modalità di comunicazione, altri Banchieri centrali europei tra cui il nostro Ignazio Visco hanno invitato Lagarde a un maggiore coordinamento e ponderazione – l’onorevole Damiani ha già annunciato che si farà portavoce di un ulteriore provvedimento volto a consentire la detraibilità e il recupero dei maggiori costi nel frattempo subiti a opera dell’incremento dei tassi variabili. Così da poter appunto azzerare lo spread verificatosi, e quindi questa impropria tassa gravante sui cittadini bisognosi di richiedere un prestito.